1. Mt 5,21-26 – 30/06/2023
  1. Il testo

21Avete udito che fu detto agli antichi: «Non ucciderai. Chi avrà ucciso, colpevole, sarà [sottoposto] al giudizio». 22Io, però, vi dico che chiunque si adira con il fratello suo, colpevole, sarà sottoposto al giudizio. Chi dovesse dire al suo fratello: stupido, sarà [sottoposto] al sinedrio. Chi dovesse dirgli: pazzo, sarà [sottoposto] alla Geenna del fuoco. 23Se dunque, portando il tuo dono sull’altare lì ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e vai prima a riconciliarti con tuo fratello, e allora, venendo, porta il tuo dono. 25Sii benevolo con  il tuo avversario subito, mentre sei in via con lui, affinché il tuo avversario non ti consegni al giudice, e il giudice alla guardia e  e tu sia gettato in prigione. 26In verità ti dico, giammai uscirai da lì fino a che non avrai restituito l’ultimo spicciolo.

  • Il messaggio

Gesù sta parlando della sovrabbondanza della giustizia che consiste nel portare a compimento la legge dei profeti. I verbi utilizzati sono importanti, comunicano tra loro; “portare a compimento” significa riempire, ed è la stessa radice del “sovrabbondare”. L’azione di Gesù porta a compimento la legge dei Profeti con una spiegazione della giustizia piena che non si oppone alla giustizia di Mosè ma la capisce in maniera piena e completa.

21Avete udito che fu detto agli antichi: «Non ucciderai. Chi avrà ucciso, colpevole, sarà [sottoposto] al giudizio». Come notavamo dall’inizio, Gesù si attribuisce un’autorità salendo sul monte. Mosè e Gesù sono due legislatori, ma Gesù si pone al di sopra di Mosè e porta la sua legge ad una interpretazione più completa. Il tema trattato è l’uccisione, il quinto comandamento, e ogni comandamento ha la trasgressione e la conseguenza, laddove quest’ultima ci dice la gravità della trasgressione, perché la pena è proporzionata. Non ci sfugge che la conseguenza della trasgressione dell’uccisione può essere quella di essere sottoposti al giudizio. Tuttavia Gesù estende il quinto comandamento non soltanto ad un atto esteriore, l’uccidere fisicamente una persona, ma porta a compimento questa legge mostrando come si possa uccidere anche semplicemente con la parola, una parola che manifesta l’intenzionalità.

22Io, però, vi dico che chiunque si adira con il fratello suo, colpevole, sarà sottoposto al giudizio. Chi dovesse dire al suo fratello: stupido, sarà [sottoposto] al sinedrio. Chi dovesse dirgli: pazzo, sarà [sottoposto] alla Geenna del fuoco. “Colpevole” è un aggettivo di apposizione al soggetto. Ci sono tre livelli di gravità diversa. Il primo è un adirarsi a livello interpersonale, il secondo è un’offesa, dire stupido è un’offesa che può comportare una derisione anche a livello sociale, dire pazzo è uno screditare. Ci sono tre livelli anche per quanto riguarda la sanzione che viene riferita, giustizia, sinedrio e Geenna. Gesù sposta il comandamento dal punto di vista della relazione del soggetto e ci fa capire che la vita del soggetto non è solo biologica, per cui se si scredita una persona davanti a tutti, la sua qualità di vita peggiorerà fino addirittura ad ucciderla. Un esempio attuale può essere il fenomeno del bullismo o cyber bullismo, in cui l’accanimento verso una persona può condurla anche a togliersi la vita. Questo fa pensare come la parola può avere forti conseguenze su una persona. Quindi, Gesù porta il livello dell’uccisione a livelli relazionali.

23Se dunque, portando il tuo dono sull’altare lì ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e vai prima a riconciliarti con tuo fratello, e allora, venendo, porta il tuo dono. L’offerta può essere portata in un solo posto in Israele, a Gerusalemme, perché questo è il luogo in cui si trova l’altare, negli altri paesi ci sono le sinagoghe, ma l’unico altare è nel tempio di Gerusalemme. Quindi portare il dono all’altare è un atto votivo che di solito un Israelita compie una volta all’anno. Portare il dono all’altare è un atto solenne, ed è importante sottolineare che nel brano non viene riportata una sostituzione del dono, per Gesù l’offerta va sospesa e bisogna andare a riconciliarsi prima di portarla, sapendo e ricordandosi che l’altro ha qualcosa contro di noi. La riconciliazione è un atto che si compie in due, perché è l’atto di pacificazione tra due persone che hanno discusso. Da noi dipende il perdono, qualsiasi torto subito siamo sempre chiamati a perdonare ma la riconciliazione è l’atto con il quale l’altro accoglie il perdono. Se non lo accoglie non ci può essere riconciliazione. Gesù ci ha perdonato dalla croce ma la riconciliazione avviene quando chiediamo scusa, accogliamo il perdono di Gesù. Egli ci ha già perdonati ma noi nell’atto del sacramento ci andiamo a prendere il perdono. Inoltre Gesù dice che la relazione con l’altro non è solo ciò che noi pensiamo dell’altro, ma è l’interazione del nostro modo di pensare l’altro, e del modo dell’altro di pensare noi. Questa relazione, in qualsiasi modo si configuri va ad interferire con la nostra relazione con Dio, non possiamo considerare la nostra relazione con Dio avulsa dalla nostra relazione con gli altri.

25Sii benevolo con  il tuo avversario subito, mentre sei in via con lui, affinché il tuo avversario non ti consegni al giudice, e il giudice alla guardia e  e tu sia gettato in prigione. 26In verità ti dico, giammai uscirai da lì fino a che non avrai restituito l’ultimo spicciolo. L’aggettivo “benevolo” deriva dal verbo eunoéo, che ci richiama la metànoia, la conversione, il cambiamento del modo di pensare, quella elasticità necessaria per cambiare il pensiero. Significa “essere ben pensante”, pensare bene dell’altro, quindi prendere dell’altro il buono di ciò che sta dicendo, che è il principio per poter discutere, perché se interpretiamo tutto ciò che l’altro dice malevolmente alla fine trarremo sempre conclusioni che sono solo nostre. Gesù invece ci dice che nel modo di porgersi verso l’altro dobbiamo essere sempre benevolenti, accogliere al massimo delle possibilità positive tutto ciò che sta dicendo, questa è la condizione per la riconciliazione.

Tutto questo va nella direzione di una intenzionalità, a partire da una intenzionalità delle parole fino ad una dimensione di intenzionalità sia con Dio che con i fratelli, ad una dimensione della riconciliazione. Per ottenerla, dobbiamo avere una disposizione benevolente. Senza questa disposizione, ci troveremo sempre nella condizione di debitori, pagheremo quello “spicciolo” fino alla fine; se per via non andiamo ad appianare, ci sarà sempre qualcosa con l’altro in cui restiamo debitori. Fosse anche per uno “spicciolo”, lo sprone di Gesù è di andare a riconciliarsi.

  • Alcune domande per riflettere
  • [La mia fede] La giustizia sovrabbondante che Gesù annuncia parte dall’estensione del campo dei comandamenti. Essi non si limitano solo alla sfera fisica, ma entrano nel cuore della vita umana, cioè della relazione. Una relazione che incrocia simultaneamente Dio e il prossimo. Quanto penso che il rapporto col prossimo infici o accresca il mio rapporto con Dio? Che reazione ho di fronte a questa verità?
  • [Gli altri] Adirarsi, denigrare o screditare l’altro sono azioni che lo uccidono. Davanti a noi e davanti alla società. Quanto considero la parola strumento di vita o di morte per la vita relazionale mia e altrui? Che uso faccio delle mie parole? sono in eccesso o in difetto? Sono per aiutare o denigrare? Sono per rivelarmi o soltanto per informare?
  • [La prassi] Essere benevoli – benpensanti/bendisposti – verso gli altri è la condizione per riconciliarsi autenticamente. Qual è la mia disposizione verso l’altro quando voglio riconciliarmi?
  • [La mia offerta] Gesù chiede di anteporre il tentativo di riconciliazione col fratello ad una sterile offerta fatta a Dio. Quanto considero preghiera i miei sforzi relazionali verso i fratelli e le sorelle? Quanto preghiera e vita sono collegate e quanto dissociate?