18) Lc 4, 14-30 25/03/2020
1.Il testo
14E ritornò Gesù nella potenza dello Spirito in Galilea, e una fama riguardo a lui uscì per tutta la regione, 15ed egli insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti. 16E venne a Nazareth, dove era stato allevato, ed entrò secondo il suo solito in giorno di sabato nella sinagoga e si alzò per leggere. 17E gli fu dato il libro del profeta Isaia e srotolato il libro trovò il luogo ove era scritto: 18«Spirito del Signore [è] su di me, per questo mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato ad annunciare ai prigionieri la libertà, e ai ciechi il recupero della vista, a mandare gli oppressi in libertà, 19ad annunciare un anno propizio del Signore». 20E, arrotolato il libro, dato[lo] all’assistente, sedette. E gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui.
21Cominciò allora a dire verso di loro: «Oggi si è compiuta la Scrittura, questa [che avete udita] nei vostri orecchi». 22E tutti rendevano testimonianza a lui ed erano stupiti sulle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23E diceva verso di loro: «Certamente direte a me questa parabola: “medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito è avvenuto in Cafarnao fallo anche qui, nella tua patria”». 24 Disse dunque: «In verità vi dico nessuno dei profeti è stato propizio nella patria sua. 25 In verità vi dico, molte vedove c’erano nei giorni di Elia in Israele, quando fu chiuso il cielo per tre anni e sei mesi, quando avvenne una grande carestia su tutta la terra, 26e a nessuno di loro fu mandato Elia se non a Sarepta di Sidone a una donna vedova. 27 E molti lebbrosi c’erano in Israele sotto Eliseo il profeta, e nessuno di essi fu purificato se non Naaman il Siro». 28E furono riempiti tutti di sdegno nella sinagoga ascoltando queste cose 29e alzatisi lo gettarono fuori della città e lo condussero sul ciglio del monte sul quale la loro città era costruita per buttarlo giù. 30Egli, però, passando in mezzo a loro se ne andò.
2. Il messaggio
Questo brano incomincia dicendoci che Gesù è pieno di Spirito Santo e che dal Giordano va fino in Galilea a ritroso, dopo che dalla Galilea ha raggiunto il Giordano: 14E ritornò Gesù nella potenza dello Spirito in Galilea. La particella en che accompagna il termine “potenza” può significare sia “con” che “in”, e quindi Gesù è con /nella potenza dello Spirito Santo. Questo ritorno di Gesù in qualche modo cambia la sua posizione nel luogo dove Egli abita.
La prima cosa che ci viene detta è che Gesù sta ritornando a casa e che prima di tornare a casa nuovamente si mette a insegnare nelle sinagoghe: 15ed egli insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti. Questo è comune per l’epoca, perché la sinagoga, come la chiesa, è il luogo di ritrovo, dove cioè si prega e si commenta la Scrittura insieme. Gesù predica, è la sua prima azione nello Spirito secondo quanto ci dice Luca, ed è l’azione nello Spirito che lo rende glorificato da tutti.
A questo punto l’evangelista ci introduce il primo posto dove inizia la predicazione di Gesù che è Nazareth (diversamente da Marco in cui il primo posto della predicazione di Gesù è Cafarnao): 16E venne a Nazareth, dove era stato allevato, ed entrò secondo il suo solito in giorno di sabato nella sinagoga e si alzò per leggere. Questo non significa che Gesù sia stato prima a Nazareth, infatti ai vv. 14-15 ci viene detto che era stato già a Cafarnao. In Luca Nazareth è il primo momento di predicazione.
Il fatto che Gesù entri come il suo solito nel giorno di sabato nella sinagoga e si alzi per leggere indica una situazione comune. Poi gli viene dato un libro del profeta Isaia: 17E gli fu dato il libro del profeta Isaia e srotolato il libro trovò il luogo ove era scritto. La notazione di Luca è importante perché Gesù non sceglie il libro, ma gli viene consegnato, ed è a partire da questo libro che Lui sceglie il brano da leggere. Questo è in relazione con quello che Gli è successo al Giordano. Il brano di Isaia ha infatti come centro la donazione dello Spirito di Dio: 18«Spirito del Signore [è] su di me, per questo mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato ad annunciare ai prigionieri la libertà, e ai ciechi il recupero della vista, a mandare gli oppressi in libertà, 19ad annunciare un anno propizio del Signore». Questo Spirito rimane su Gesù e lo unge – gli unti sono i consacrati, gli eletti del Signore. Il consacrato è colui dedica totalmente la vita al Signore e la sua vita diventa un servizio a quello che Gesù gli chiede. Gesù è totalmente consacrato al Signore e lo Spirito lo ha consacrato per evangelizzare i poveri, annunciare ai prigionieri la libertà, per mandare gli oppressi in libertà e annunciare la buona notizia del Signore. Tutte le categorie che vengono nominate sono indigenti.
Una prima riflessione che dovremmo fare è che per ascoltare questa Parola ci dobbiamo riconoscere poveri, ciechi, oppressi, prigionieri. Occorre sentirsi in uno stato di bisogno per accogliere il Vangelo, che è la buona novella. Il Vangelo è la buona notizia ma il rischio è quello di non aspettarla, che equivale come a non riceverla. L’”anno propizio” del Signore indica tutto ciò che è buono, che porta bene e conduce al bene. E’ il Signore che vuole fare grazia, spendersi per il bene del suo Popolo.
I versetti 18-19 esprimono quindi due concetti: sia quello che è accaduto a Gesù, cioè il fatto che lo Spirito è su di Lui, sia che nel momento in cui Gesù parla è l’anno propizio del Signore, c’è un annuncio di salvezza. Entrambe gli elementi sono compresenti in questa Parola del Signore, che illumina la realtà. Ancora una volta la Parola di Dio è illuminante perché annuncia che la Parola è in atto, si è realizzata, e questo lo può fare solo Gesù Cristo. Tutto il Vangelo è in atto, anche in questo momento: la frase che Gesù pronuncia nel Vangelo è una frase che Gesù pronuncia adesso a noi come l’ha pronunciata duemila anni fa ai nazaretani: 21Cominciò allora a dire verso di loro: «Oggi si è compiuta la Scrittura, questa [che avete udita] nei vostri orecchi». Il Vangelo è compresente perché è una Parola attuale di Gesù e tutte le volte che noi la ascoltiamo nel presente, essa si realizza.
Con questa affermazione comincia la seconda parte del brano: viene descritto l’atteggiamento degli abitanti di Nazareth che hanno inizialmente una grande aspettativa nei confronti di Gesù, e infatti tutti lo guardano per capire che fa: 20E, arrotolato il libro, dato[lo] all’assistente, sedette. E gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. Dal momento in cui Gesù afferma che la Parola si è realizzata, questa produce progressivamente delle reazioni. La prima reazione è che tutti Gli rendono testimonianza: 22E tutti rendevano testimonianza a lui ed erano stupiti sulle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Infatti, questa Parola di Gesù affascina, ha la di capacità di generare qualcosa negli ascoltatori, che quindi gli rendono testimonianza. Ma subito dopo, la Parola stessa produce uno stupore per le parole di grazia. Questo è un modo diverso che Luca utilizza per esprimere lo stesso concetto che troviamo in Marco (1, 21-34): queste “parole di Grazia” sono le “parole dette con autorità” che troviamo in Marco.
Ciò che è importante capire è il significato dello stupore. Lo stupore è un misto tra incomprensione e l’incredulità. E’ lo stesso stupore che si ritrova nel racconto di Zaccaria: in Lc 1, 21 sono stupiti coloro che aspettano Zaccaria fuori dal tempio e non capiscono perché ritardi (è uno stupore di qualcosa che sfugge), e sono stupiti anche (Lc 1, 65) i parenti di Zaccaria che chiedono ad Elisabetta e poi a Zaccaria come si deve chiamare il bambino ed entrambi rispondono Giovanni (anche qui i parenti non comprendono il motivo del nome). Oltre al racconto di Zaccaria, c’è un terzo momento dello stupore (Lc 2, 18), quando avviene l’annuncio dell’angelo ai pastori ed essi sono stupiti: anche qui lo stupore non è elemento positivo poiché esprime un’incomprensione e una mancanza di fiducia nei confronti di chi gli sta parlando.
Questo atteggiamento accade anche con Gesù: successivamente infatti, lo stupore si trasforma in paura. Nel brano di Marco lo stupore viene chiamato incredulità e questo lo connota negativamente. L’incredulità degli astanti suscita la risposta di Gesù che è a tutti gli effetti un insegnamento: 23E diceva verso di loro: «Certamente direte a me questa parabola: “medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito è avvenuto in Cafarnao fallo anche qui, nella tua patria”». E’ come se Gesù stesse dicendo che sa quali sono le loro aspettative nei suoi confronti: i Nazaretani vorrebbero che quello che è accaduto a Cafarnao succedesse anche a Nazareth, ma questo non accade. Gesù infatti non può dare inizio a quel tempo propizio che Dio intende dare al popolo e non perché Gli manchi la volontà di darlo, ma perché ciò che manca è la volontà di accoglierlo.
Questo è il punto chiave di tutto il brano: Gesù ha fatto l’annuncio di grazia ma tocca accoglierlo. L’aiuto del Signore bisogna saperlo accogliere. Quando pensiamo che il Signore non interviene, dobbiamo chiederci se il nostro atteggiamento è accogliente nei confronti di questo aiuto del Signore.
La Fede è un elemento essenziale per poter usufruire dell’aiuto di Dio. Gesù ce lo fa capire con due esempi tratti dall’Antico Testamento. Il primo riguarda le vedove: 25 In verità vi dico, molte vedove c’erano nei giorni di Elia in Israele, quando fu chiuso il cielo per tre anni e sei mesi, quando avvenne una grande carestia su tutta la terra, 26e a nessuno di loro fu mandato Elia se non a Sarepta di Sidone a una donna vedova., il secondo i lebbrosi: 27 E molti lebbrosi c’erano in Israele sotto Eliseo il profeta, e nessuno di essi fu purificato se non Naaman il Siro». Nel tempo di carestia su tutta la terra nessuno viene aiutato ad eccezione di una vedova di Sidone, territorio al di fuori dai confini di Israele. Ciò vuol dire che l’unica persona che ha un atteggiamento tale da accogliere l’aiuto di Dio è quella vedova. In terra di Israele infatti a nessuno fu mandato Elìa, e al tempo di Eliseo nessun lebbroso viene sanato, a eccezione di uno straniero che viene dalla Siria, territorio al di fuori dai confini di Israele. Ciò che sembra dire Gesù con questi due esempi è che il popolo eletto al quale Dio ha mandato il messaggio di elezione – Israele – non si è trovato nelle disposizioni per ricevere il Suo messaggio di grazia. Invece, queste disposizioni sono state trovate in popolazioni che non fanno parte del popolo eletto.
Gesù sta cioè affermando che non è Dio ad essersi dimenticato del popolo ma il contrario. A queste parole tutti sono colpiti da sdegno: 28E furono riempiti tutti di sdegno nella sinagoga ascoltando queste cose. Le parole di Gesù producono una reazione violenta da parte del popolo di Nazareth che non accetta la sua analisi: 29e alzatisi lo gettarono fuori della città e lo condussero sul ciglio del monte sul quale la loro città era costruita per buttarlo giù. Quando la Parola di Gesù quando arriva ai nostri cuori produce un effetto che rivela a noi stessi chi siamo. Gesù, come il medico, ha semplicemente cercato di curare se stesso, di aiutare il suo popolo. Le parole di Gesù le possiamo comprendere in due modi: o come delle parole di accusa, o come una propria e vera diagnosi della nostra situazione (Gesù fa capire ai nazareni qual è il motivo per cui essi sono stupiti).
La meraviglia è sentimento di stupore ma di anche diffidenza. Gesù dice una parola per far venir fuori quello che c’è dentro il cuore di queste persone, che è rimasto al livello della meraviglia diffidente, ma poi li conduce allo sdegno, cioè li conduce a ciò che è già presente dentro di loro essi. Essi non sono fiduciosi nella Parola di Gesù e quando Egli glielo rivela, la reazione è violenta. I nazaretani non accettano la verità di sé.
L’effetto di questo atteggiamento è allora l’allontanamento di Gesù: 30Egli, però, passando in mezzo a loro se ne andò.
L’atteggiamento degli abitanti di Nazareth può accadere anche dentro di noi: ci sono degli elementi nella nostra vita e nell’ascolto della Parola del Signore che noi non accettiamo e dei momenti in cui si vede in noi una ribellione che ci allontana da Gesù. Ma questo non costituisce ancora il vero problema. Gesù in fondo nelle sue parole non intende accusare, ma guarire. Vuole cioè mostrare agli abitanti di Nazaret il loro male perché lo possano rimuovere e accogliere l’anno di grazia del Signore. Sbaglieremmo se pensassimo che le parole di Gesù sono una condanna. Al contrario, esse continuano ad esprimere il desiderio da parte di Dio di fare grazia. E dunque di rimuovere tutto ciò che impedisce la ricezione di essa. È dunque la reazione dei nazaretani ad essere la parola che scaccia Gesù, non le parole dello stesso.
Poniamo attenzione a questa dimensione della nostra vita, perché l’esperienza che facciamo della ribellione non dev’essere l’ultima parola: se ci accorgiamo di avere una ribellione, e quindi un limite, il primo passo è riconoscerlo, il secondo è rimetterlo nuovamente nelle mani del Signore per chiederGli di guarirlo. Non dobbiamo considerare quindi definitiva la ribellione nei confronti di Gesù, perché la Sua Parola non condanna. Se essa condannasse, non ci sarebbe nessun progresso spirituale nei confronti di Gesù. La Parola di Gesù serve invece ad aiutarci anche quando ci sembra dura, ci aiuta a muoverci, a camminare e non a non rimanere fermi. Anche lo sdegno, in alcuni momenti della nostra vita, non ci deve scoraggiare, dobbiamo considerarlo come un punto nuovo di partenza in cui capiamo qualcosa di nuovo su cui lavorare per crescere nella fiducia di Gesù.
E’ interessante notare che Gesù passa attraverso di loro e non in mezzo a loro. In Mt 28, 20 Gesù dice: «Io sono in mezzo a voi fino alla fine dei tempi», indicando lo stare in mezzo nella comunità. In questo caso, Lui non sta in mezzo, ma attraversa la comunità di Nazareth. Gesù infatti è in mezzo alla comunità per mezzo dell’attualità della Sua Parola, ma è l’atteggiamento della comunità stessa che lo ha fatto andar via. Questa è l’espressione di un rifiuto collettivo, di chi non accoglie la Parola. Credere nella Parola significa che questa si realizza anche se noi apparentemente non lo vediamo, anche se fosse inverosimile crederlo.
Tutte le volte in cui non crediamo che la Parola è vicino a noi e si è realizzata, è come se la stessimo buttando via diventando increduli e diffidenti. Nel momento in cui invece facciamo fatica e crediamo che quella Parola è reale per noi, in quel momento esatto la nostra fede teorica diventa fede reale. Cerchiamo allora di vivere questo tempo drammatico, sforziamoci di vivere autenticamente la preghiera. E’ però fondamentale pregare con fede, cioè credendo che questa può agire anche in uno stato di epidemia. Ecco che questo brano ci chiede un impegno di preghiera e di fede maggiore, c’è bisogno di persone che credono che Dio non abbandona il suo popolo. L’invito è ad essere fiduciosi e ad animare la nostra preghiera di fiducia. Dio vuole soccorrere il popolo in difficoltà ma ha bisogno di vedere le persone che credano che oggi si è compiuta questa Scrittura. E’ proprio oggi che viene proclamato per noi un anno propizio anche se apparentemente non ci sembra vero.
3.Le risonanze personali
vv. 14-30 Sembra che il brano vada nella direzione dell’accoglienza della Parola . Il passaggio che più colpisce è quello che descrive una comunità che passa dal glorificare Gesù allo sdegno .Nell’analizzare questa trasformazione si evidenzia come nei nazaretani non ci sia né accoglienza della Parola di Gesù né fede. Gesù viene inizialmente glorificato sula base della Fama che giunge nel luogo dove è stato allevato. Lui arriva, insegna, annuncia la Parola e nel momento in cui si aspettano qualcosa da Lui, egli annuncia loro che la Parola si è realizzata in lui . Avviene così una prima trasformazione nei nazaretani. Dal glorificare Gesù essi sono stupiti da quanto dice. Lo stupore è legato non solo alle sue parole, ma alla figliolanza con Giuseppe.
Successivamente questo stupore si trasforma in sdegno all’annuncio di un’altra Parola che loro non accettano ovvero non accolgono. In entrambi gli annunci, la Parola si realizza, quello che cambia è la capacità e la disponibilità all’accoglienza della Parola. I nazaretani si stupiscono perché non capiscono come il figlio di Giuseppe possa parlare in quel modo e successivamente si sdegnano perché non accettano quello che non riescono a capire .
Il sentimento di stupore qui descritto ricorda quello delle persone che ascoltano dai pastori la nascita di Gesù . Anche qui non credendo alla Parola che viene da Dio , non si custodisce nel cuore in questo modo essa non cresce ma porta ad una ribellione e ad un rifiuto .
Mi sono chiesta come io reagisco di fronte ad una Parola che non capisco e se sono sempre capace di custodirla con fede, certa che se viene da Dio potrà solo portarmi a quelli che sono suoi desideri per me. Di fronte all’atteggiamento di rifiuto che porta i nazaretani a voler uccidere Gesù mi sembra che il brano ci mostri anche il modo di agire di Dio e ho pensato anche a quanto detto più volte circa la maggiore responsabilità che si ha rispetto ad una Parola che ci è stata annunciata e che non abbiamo accolto .
Gesù arriva, annuncia la Parola , questa anche se non accolta si realizza e se si continua a rifiutarla lui va via . E’ una nostra scelta accogliere o non accogliere Gesù .
vv. 14-30 Dopo il Battesimo e le tentazioni, anche qui si tratta di una manifestazione di Gesù e anche qui, come nei due casi precedenti, a guidarLo sono lo Spirito e la Parola. La centralità di questo brano per me è proprio l’efficacia della Parola, che si realizza sempre. Gesù lo dice esplicitamente, e anche quando annuncia il rifiuto dei Nazaretani citando l’Antico Testamento, la Sua è una Parola che si realizza sempre. La Sua Parola è quindi davvero viva ed efficace. Ciò nonostante non viene accolta, a causa di due atteggiamenti, uno è quello di pretendere di conoscere Gesù, come agisca e da dove venga, l’atro è quello di non accogliere il Suo modo di agire, ma di voler dettare noi legge, con le nostre logiche.