Mt 9,14-17 – 07/02/2024
1. Il testo
14Allora si avvicinarono a lui i discepoli di Giovanni dicendo: «Perché noi e i farisei digiuniamo [molto], mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
15E disse loro Gesù: «Forse che possono i figli della festa di nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? piangeranno [nei] giorni quando sarà tolto da loro lo sposo, e allora digiuneranno.16Nessuno mette un pezzo di stoffa non cardato su un vestito vecchio. Il suo rattoppo, infatti, porta via dal vestito e avviene uno strappo peggiore.17Né gettano vino nuovo in otri vecchi. Se no, si rompono gli otri e il vino si versa e vanno perduti sia il vino che gli otri. Ma gettano vino nuovo in otri nuovi ed entrambi si custodiscono».
2. Il messaggio
La domanda
Dopo il confronto con i farisei che si distanziano da Gesù per la sua “vicinanza” ai pubblicani e peccatori avviene un nuovo confronto. questa volta sono i discepoli di Giovanni battista che si avvicinano per chiedergli della mancanza di “penitenza” da parte dei suoi discepoli. Gesù ha già praticato (7. Mt 4,1-11) il digiuno nel deserto e parlato del digiuno (17. Mt 6,16-24) mostrandone la sua rilevanza nel rapporto con Dio più che con gli uomini. Ci si aspetta, quindi, adesso che la sua risposta spieghi la relazione dell’assenza del digiuno nei suoi discepoli in relazione al rapporto con Dio.
Il digiuno come lutto
Per spiegare questo Gesù usa la metafora del matrimonio. I suoi discepoli vivono la condizione di festa di invitati alla festa di nozze. Perché lo sposo è con loro. Lo sposo è Gesù. si tratta di una metafora conosciuta nel mondo giudaico: il Cantico dei Cantici è tutta una metafora di questo. Ma anche Isaia che annuncia lo Sposo-Creatore (Is 54,1-10), come anche Ezechiele che denuncia l’infedeltà di Israele come infedeltà coniugale (Ez 16). E soprattutto Osea (Os 2,16-25), ripreso da Paolo per indicare la misericordia di Dio per Israele (Rm 9,25 -26). La lettera agli Efesini spiegherà che Cristo è lo sposo della Chiesa. Cioè di Israele (Ef 5:22-33). Infine anche l’Apocalisse giovannea fa menzione di questo (Ap 19,7b).
Innanzitutto è notevole osservare che rispetto a questa metafora Gesù si identifica genericamente come sposo. Questo all’interno del discorso sposta il valore del digiuno dal generico rapporto con Dio al rapporto con la persona di Gesù. Ma cosa significa? La spiegazione più avanti.
La novità dirompente e a necessaria elasticità per accoglierla
Si tratta di una spiegazione metaforica. Che introduce una novità letteralmente dirompente. Gesù diventa il senso del digiuno, di fatto superando la comprensione che se ne aveva fino a quel momento. Se il digiuno ha senso nel rapporto con Dio, allora questo rapporto passa per la persona di Gesù. E sarà la sua presenza/assenza a definirlo. In una connotazione che è di lutto. In un riferimento chiaro alla sua passione.
Questo cambiamento non può essere accolto mantenendo il precedente modo di pensare/intendere il digiuno. In modo tanto radicale da essere paragonato a un vestito vecchio che non può essere rattoppato, ma che va cambiato.
Oppure nel paragone con la forza del vino novello la cui fermentazione non può essere contenuta in otri ormai vecchi, ovvero sclerotizzati (rigidi). Per accogliere questa novità in fermento è necessaria l’elasticità di otri nuovi.
Il corpo sacrificio vivente
Le parole sul digiuno richiamano la dimensione corporea nella preghiera a Dio. su questo può aiutare ricordare il Sal 39 che la Lettera agli Ebrei fa pone sulle labbra di Cristo dicendo: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato» (Eb 10,5). Quest’ultima frase – presente nella sola versione dei LXX – mostra la natura del sacrificio di Cristo e allo stesso tempo la funzione del «corpo». comprensibile solo se non ci si identifica totalmente con esso. E se lo si comprende come un «luogo» di azione, presenza nel mondo. E pertanto di offerta. Su questo l’apostolo Paolo specifica: «offrite (παραστῆσαι) i vostri corpi come sacrificio vivente (θυσίαν ζῶσαν) […] è questo il vostro culto spirituale (λογικὴν λατρείαν ὑμῶν)» (Rm 12,1). In continuità con l’esempio di Cristo, il corpo è quella parte dell’essere umano che diventa strumento di offerta di un sacrificio che è interiore,«spirituale». Ove questa interiorità richiama al modello di Cristo.
3. Domande – 30) Mt 9,14-17
- [La mia fede] «Possono i figli della festa di nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro?». Le parole di Gesù legano il digiuno al lutto della sua sottrazione, con un’allusione alla sua passione e morte. Quale significato do al digiuno? È una pratica che compio o è desueta? Nella mia vita è più presente per mantenermi in forma o assume un qualche senso in riferimento a Gesù? Che significa per me che Gesù è sposo?
- [Gli altri] « «Perché noi e i farisei digiuniamo [molto], mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Una delle tentazioni più grandi della fede è lasciarsi distogliere dalla propria interiorità guardando quello che fanno gli altri. Quanto la presenza degli altri mi aiuta a vivere la fede e quanto mi distoglie? Quali sono gli atteggiamenti altrui che mi distolgono? cosa dicono della mia fede? Quanto il mio atteggiamento cristiano aiuta/distoglie gli altri rispetto alla fede?
- [La prassi] «Ma gettano vino nuovo in otri nuovi ed entrambi si custodiscono». La novità che Gesù porta va accolta con l’elasticità degli otri. Si tratta di una virtù che assomiglia molto a quella metánoia il cui significato profondo è quella disponibilità a cambiare pensiero. Quanta rigidità e quanta elasticità mi ritrovo nell’interiorità? ho mai fatto esperienza della «rottura» di questa rigidità a contatto con la Parola? Riesce la parola a liberarmi o mi “comprime” a causa della mia rigidità? Quando sperimento questa compressione mi allontano dalla Parola o accetto di cambiare me stesso?
- [Salmo 39] «Un corpo mi hai preparato». Il Salmo presenta all’uomo il corpo come luogo per rispondere la propria vocazione. In che modo vivo il rapporto con la mia corporeità? quanto vivo per soddisfarla? quanto la vivo per rispondere alla mia vocazione? qual’è la mia vocazione?
4. Risonanze
v.14” perché noi e i farisei digiuniamo, mentre i tuoi discepoli non digiunano?” vs “piangeranno quando sarà tolto da loro lo sposo”
- Qual è il significato del digiuno per i farisei? E quale per i discepoli di Giovanni? Che intenzione c’è in questa prassi? Certamente Gesù, in questo brano spiega cosa intende Lui per digiuno, come un’azione volta ad eliminare qualcosa che distrae dall’esperienza dell’incontro con lo sposo per tanto suggerisce ai discepoli che va fatto ma quando Lui non ci sarà più. Quindi il digiuno è molto più che una prassi, è l’esperienza di poter incontrare il Signore. E colpisce che i discepoli di Giovanni Battista e i farisei praticano un digiuno per il Signore ma non si accorgono che Lui è lì presente in mezzo a loro. L’attesa distrae e proietta i propri sensi verso un futuro lontano mentre Gesù è nel qui ed ora della relazione. Nel digiuno incontro Gesù.
v.16 “nessuno mette un pezzo di stoffa non cardato su un vestito vecchio. Il suo rattoppo infatti porta via dal vestito e avviene uno strappo peggiore”
- La presenza di Gesù provoca un cambiamento del modo di pensare, come abbiamo più volte detto a proposito del significato della “conversione”, e un cuore nuovo dopo aver incontrato Gesù non si adegua più alle cose vecchie, alle vecchie consapevolezze, ai vecchi modi di pensare questo perché il vestito nuovo provocherebbe uno strappo “peggiore” , brutto, sul vestito vecchio. Il nuovo per poter custodirsi deve andare con il nuovo.
17. “Né gettano vino nuovo in otri vecchi. Se no, si rompono gli otri e il vino si versa e vanno perduti sia il vino che gli otri. Ma gettano vino nuovo in otri nuovi ed entrambi si custodiscono”.
- Gesù sembra indicarci questa gradualità pedagogica che usa nel suo insegnamento. Viene data la Parola a chi è in grado di accoglierla. Ha sufficiente elasticità, come gli otri nuovi del Vangelo. Mi chiedo se sono sufficientemente elastico per accogliere la Parola e come posso fare per allenarmi a questa elasticità. Forse frequentare e custodire la Parola è ciò che allena il cuore in tal senso.