30) Lc 7,1-10 –  14/10/20

1. Il testo

                1Dopo che ebbe completato tutte le sue parole all’ascolto del popolo entrò in Cafarnao. 2Stando male il servo di un centurione – il quale era a lui caro – stava per morire. Avendo udito riguardo a Gesù gli mandò sacerdoti dei Giudei a chiedergli che, venendo, salvasse il suo servo. 4 Quelli, presentatisi da Gesù, lo pregavano con insistenza dicendo: «È degno che [tu] gli faccia questo. Ama infatti il nostro popolo ed egli stesso ci ha costruito la sinagoga». 6Allora Gesù andava con loro. Mentre egli non era molto distante dalla casa, inviò amici il centurione a dirgli: «Signore non disturbarti, non infatti sono adeguato che sotto il mio tetto entri. 7Perciò neppure io stesso ero degno di venire da te, ma dì una parola e sarà guarito il mio fanciullo. 8E infatti anche io sono un uomo sottoposto ad autorità, che ho soldati sotto di me e dico a questo: “va’”, ed [egli] va, e a un altro “vieni” ed [egli] viene, e al mio servo: “fa’ questo” ed [egli] lo fa». 9Avendo ascoltato queste cose Gesù si stupì e giratosi verso la folla che lo seguiva disse: «Vi dico, nemmeno in Israele ho trovato siffatta fede». 10E tornando a casa gli inviati trovarono il servo sanato.

2. Il messaggio

                v. 1 Dopo che ebbe completato tutte le sue parole verso l’ascolto del popolo entrò in Cafarnao. Gesù completa tutte le parole che deve dire a coloro che ascoltano. Quando noi ascoltiamo la Parola di Dio, il Signore ci offre tutte le parole che ci sono necessarie per ascoltarLo, non ne manca nessuna. Facciamo sicuramente esperienza della durezza, della fatica della Parola, ma dobbiamo essere convinti che essa è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, non ci manca nulla, è il pane quotidiano che Gesù ci dona. Gesù aspetta che l’ascolto sia completo, il popolo ha tutto ciò che gli serve per camminare. Dopo aver fatto questo, entra in Cafarnao, dove ha fatto il più gran numero di segni perché è una città che Lo ha accolto.

                v. 2 Stando male il servo di un centurione – il quale era da lui caro – stava per morire. Avendo udito riguardo a Gesù gli mandò sacerdoti dei Giudei a chiedergli che, venendo, salvasse il suo servo. Il servo di un centurione a lui caro sta male. In tutti i casi in cui si menziona il servo del centurione, (vv. 2, 3, 7 e 10), egli è chiamato servitore (doulos in greco), in un caso solo viene chiamato fanciullo (pais), quando il centurione parla in prima persona di lui. Agli occhi di tutti quest’uomo è un servo, agli occhi del centurione è come se fosse un figlio (il quale era a lui caro). L’ascolto del centurione appartiene alla dimensione della fede e quest’uomo non ha mai incontrato Gesù, ma ha ascoltato ciò che è intorno a Lui, la fama che lo precede, i suoi segni. Si parla di una fede che è stata in qualche modo trasmessa “di seconda mano” (il centurione è rimasto colpito da ciò che le persone hanno riferito di Gesù).

                Tutto il brano esprime un avvicinamento a Gesù. Quest’uomo ode di Gesù ed invia innanzitutto sacerdoti dai Giudei perché sono coloro che rispetto a lui sono più vicine a Gesù. E’ una forma di avvicinamento di Gesù. Il centurione gli chiede di venire e di salvare il suo servo. Anche qui possiamo cogliere tre verbi che sono tra loro diversi: salvare (v. 3), guarito (v. 7), sanato (v. 10), sono tre verbi diversi che esprimono l’azione di Gesù. I sacerdoti esprimono l’intervento di Gesù come salvezza.

                4 Quelli presentatisi da Gesù lo pregavano con insistenza dicendo: «È degno che [tu] gli faccia questo. Ama infatti il nostro popolo ed egli stesso ci ha costruito la sinagoga». I sacerdoti si presentano, lo pregano con insistenza asserendo che il centurione è degno di essere esaudito, si sentono amati da lui, ha costruito loro la sinagoga. E’ interessante notare che i sacerdoti ritengono che quest’uomo sia degno mentre lui stesso non si ritiene degno.

                6Allora Gesù andava con loro. Mentre egli non era molto distante dalla casa, il centurione mandò amici a dirgli: «Signore non disturbarti, non infatti sono degno che sotto il mio tetto entri. 7Perciò neppure io stesso ero degno di venire da te, ma dì una parola e sarà guarito il mio fanciullo. Gesù ascolta la richiesta e va con loro. Mentre ancora non è molto distante dalla casa (quindi Gesù ha camminato, si è avvicinato a quest’uomo), il centurione manda suoi amici, cioè persone che sono prossime a sé a dire a Gesù di non recarsi da lui. Possiamo notare un avvicinamento di Gesù a quest’uomo e anche una crescita della sua fede. C’è un aspetto che ritorna: il centurione non si sente degno che Gesù entri sotto il suo tetto, non si sente adeguato che Gesù venga. All’inizio non si sente in grado di chiamare Gesù e lo fa chiamare dai sacerdoti. Quando sta arrivando manda degli amici suoi, quindi gente prossima a sé perché Gesù non venga. Il centurione non si sente adeguato o degno di andare da Gesù e neanche che Gesù venga ed entri sotto il suo tetto. Non è in grado di venire a contatto con Gesù e quindi utilizza degli intermediari (sembra quasi ricordare il popolo d’Israele che chiede a Mosè  di essere mediatore per parlare con Dio). Gli amici diventano intermediari delle parole che Gesù dà a lui. Quest’indegnità riconosce innanzitutto nella persona di Gesù una grandissima dignità (come quando Pietro, in Lc 5, 8, dopo la pesca miracolosa afferma: «Signore allontanati da me che sono un peccatore»). Chi fa esperienza della maestà e dignità di Gesù si sente inadeguato e non riesce a stare alla Sua presenza. Il centurione non si sente in grado di stare alla presenza di Gesù, tuttavia sa perfettamente che ogni parola di Gesù produce l’effetto di ciò che dice (è il concetto di autorità, exousia), non ha nessun dubbio che Gesù non abbia bisogno di venire lì da Lui in quanto la Sua parola ha un’autorità a qualsiasi distanza.

                8E infatti anche io sono un uomo sottoposto ad autorità, che ho soldati sotto di me e dico a questo: “va’”, ed (egli) va, e a un altro “vieni” ed (egli) viene, e al mio servo: “fa’ questo” ed (egli) lo fa». 9Avendo ascoltato queste cose Gesù si stupì e giratosi verso la folla che lo seguiva disse: «Vi dico, nemmeno in Israele ho trovato siffatta fede». 10E tornando a casa gli inviati trovarono il servo sanato. Il fatto che questa indegnità non costituisca per il centurione un ostacolo nella fede nella Sua Parola è per Gesù motivo di stupore. Il centurione fa riferimento alla sua esperienza (è come se dicesse: «se io che sono subordinato faccio questo tu puoi farlo col mio servo, con coloro che sono i miei sottoposti, tu puoi farlo con la tua Parola, Ti basta una Parola e il mio fanciullo sarà guarito»). E’ interessante notare che la fine del brano non riguardi quest’uomo ma gli inviati che trovano il servo sanato. Il centurione non ha alcun dubbio sull’autorità della Parola di Gesù, mentre coloro i quali sono stati inviati scoprono, trovano che il servo è stato sanato secondo la Parola di Gesù. Questo è molto significativo: si direbbe che il centurione esca fuori di scena dopo aver parlato a Gesù, non avendo bisogno di far esperienza del fatto che la Parola di Gesù funziona. E’ come se non avesse bisogno che assista al segno, all’efficacia della Parola perché è già convinto che Essa sia efficace. Questo è l’insegnamento più importante del brano: chi ha fede sa già che il Signore ha adempiuto la sua richiesta. Chi vive di fede non aspetta che Dio esaudisca, è certo che Dio abbia già esaudito. Sono gli inviati che devono andare a verificarlo, ma il centurione non ne ha più bisogno.

                Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto perché chiunque chiede ottiene a chi bussa è aperto: succede questo a chi chiede con fede. Chissà se l’esaudimento delle nostre richieste non avviene per la mancanza di quella fede che è necessaria per relazionarsi con Dio. In questo brano dunque, da un certo punto di vista c’è una certa inadeguatezza ed è come se si manifestasse ad ogni passo dell’avvicinamento di Gesù, da quando entra a Cafarnao a quando sta per arrivare alla casa. Gesù entra a Cafarnao e poi non riesce ad entrare nella casa di quest’uomo perché Lo ferma prima: un tale movimento ci rimanda all’episodio della suocera di Pietro (Lc 4, 38-44). In questo brano ci emergerebbe dunque una fede superiore a quella dei discepoli, di Pietro. Il centurione è un pagano, la sua fede supera la fede di tutti quelli che Gesù ha incontrato. E’ la fede del centurione che permette a Gesù di agire a distanza. L’azione di Gesù nei confronti della nostra vita è proporzionale alla nostra fede. C’è un percorso di avvicinamento che comporta una maturazione del centurione, egli non si sente in grado di poter accogliere Gesù: pensiamo anche alle parole di San Giovanni Battista nei confronti di Gesù (Lc 3, 17): «dopo di me viene Colui che è più forte di me e io non sono degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali».

                Notiamo inoltre un legame tra quello che pensano i sacerdoti (che lui sia degno) e quello che pensa il centurione (cioè che non sia degno), quasi a ribadire il concetto nuovamente. Possiamo assistere a due invii, mentre il primo esprime un’intenzione senza parole («avendo udito riguardo a Gesù mandò i suoi servi a chiedergli di venire», discorso indiretto), il secondo presenta un discorso diretto (nell’invio degli amici è sottinteso: «Signore non disturbarti, non sono adeguato che tu entri sotto il mio tetto e neppure io sono degno di venire da te, per questo non sono venuto, ma dì una parola e il mio fanciullo sarà guarito»). E’ come se gli amici esprimessero maggiormente quello che lui pensa.

                Assistiamo dunque a tutti gli effetti ad una crescita e un avvicinamento, c’è un cammino che viene percorso pian piano. Questa Parola esprime l’avvicinamento di un uomo a Gesù ed una crescita nella fede nella Sua Parola. Come può questa consapevolezza entrare nel nostro rapporto di servitori della Parola? Che cosa ci chiede? Come possiamo metterla in pratica? Questa Parola ci chiede la fede del centurione, questo è evidente dalla reazione di Gesù che si stupisce per la fede di quest’uomo. Gesù è piacevolmente sorpreso, probabilmente Lui se l’aspetta anche da Israele, si aspetta una fiducia nella Sua Parola che ha un’efficacia tale da agire all’interno della vita delle persone. Gesù si aspetta che noi abbiamo un atteggiamento tale per cui consideriamo le Sue Parole talmente preziose che ce ne basterebbe una soltanto rivolta a noi, alla nostra vita. Gesù dunque si aspetta che noi diamo credito a queste Parole che Lui ci offre. La domanda che dobbiamo porci è: nei confronti di questo Vangelo che ascoltiamo qual è il nostro atteggiamento? Come ci poniamo nei confronti di una Parola che diventa nostra compagnia per la settimana? Che ce ne facciamo? Qual è il nostro rapporto con questa Parola? Probabilmente, se avessimo una fede come Gesù si aspetterebbe, ce ne basterebbe una soltanto per tutta la vita. E’ un po’ l’esperienza dell’esicasmo, la preghiera del cuore del pellegrino russo, una frase soltanto[1]. Tutto sta nel modo col quale ci accostiamo alla Parola, cioè quale valore Le diamo, questa è la definizione più chiara di fede che emerge da questo testo. Ci viene chiesta, in conclusione, una qualità di fede nei confronti di quello che Gesù ci dice, questo fa parte concretamente del nostro rapporto con Lui.

  1. Lettura del testo

                vv. 1-10 L’aspetto più caratteristico di questo brano è la percezione della dignità dei soggetti che intervengono. Il centurione, protagonista del brano, nonostante abbia solo “ udito riguardo a Gesù” non si ritiene degno di presentarsi a Lui ed invia sacerdoti per la richiesta di guarigione di un servo. I sacerdoti, invece, lo ritengono degno secondo considerazioni umane .

                Gesù acconsente a seguire i sacerdoti e il centurione manda altri emissari, questa volta suoi amici che esprimono una maggiore vicinanza con il centurione stesso, a ribadire che lui non è degno neppure di andargli incontro , ma è certo che una parola possa esaudire la sua richiesta . Il passaggio da sacerdoti ad amici sembra quasi voler suggerire che chi ci è più vicino conosce meglio quello che è nel nostro cuore .

Ma mentre il centurione e i sacerdoti guardano a questo concetto di dignità, tutto umano, Gesù guarda alla FEDE . Per la salvezza è importante riconoscersi peccatori ovvero non degni con la certezza che una parola, la Sua parola,  può salvarci.

                Altro aspetto che mi ha colpito del brano è che il servo viene visto dai sacerdoti come tale, mentre dal centurione come “ il mio  fanciullo”. Questo mi ha suggerito che per quanto gli altri possono intercedere per noi nelle preghiere solo noi possiamo realmente rivelare quello che abbiamo nel cuore. Infine trovo sorprendente lo stupore di Gesù, concetto che mi sembra vicino alla sua misericordia. Credo che se ci basiamo sulle nostre capacità non riusciremmo a capire la misericordia di Gesù come difficile mi sembra poter stupire Gesù.

                Questo concetto mi ha fatto riflettere sullo stupore che proviamo noi quando nella nostra vita o in quella dei fratelli vediamo realizzata una parola .

                vv. 1-10 Il brano racconta di un centurione che esprime la sua fede illimitata, senza saperlo, perché aveva udito riguardo a Gesù. Il centurione manda i sacerdoti da Gesù per fare guarire il suo amico servo. Nel momento in cui Gesù stava per arrivare ,il centurione manda i suoi servi a non farlo più entrare in casa , perché per lui basta una parola per essere salvato. Qui si esprime una realtà dove siamo chiamati a riflettere , perché ,spesse volte il nostro rapporto con Dio e con Gesù è dettato da ricerche di segni. Nei brani precedenti, si nota che Gesù fa segni per far credere la sua autorità e grandezza, invece in questo brano troviamo un uomo -centurione- che non è degno, si fa piccolo solo al pensiero di incontrare Gesù, ma gli basta una parola per far guarire il suo amico servo. Gesù meravigliato dalla fede smisurata lo fa notare a chi lo segue, ma anche a chi vede guarito il servo. Gesù dona a chi si fida di lui e lo mostra a tutti con segni che nemmeno noi possiamo immaginare .


[1] Cfr. Racconti di un pellegrino russo, è un libricino che ci fa capire quanto un uomo con le sue disavventure ad un certo punto rimane solo con la Parola e fa di Essa il centro di tutta la vita e questa Parola lo fa crescere incredibilmente nel rapporto con Dio.