44) Lc 9, 28-36 – 10/02/2021

  1. Il testo

28Avvenne dopo queste parole, circa otto giorni, [che] presi Pietro e Giovanni e Giacomo, salì sul monte a pregare. 29E avvenne, nel pregare egli, che l’aspetto del suo volto [divenne] un altro e la sua veste [divenne] bianca sfolgorante. 30Ed ecco due uomini parlavano insieme con lui, i quali erano Mosé ed Elia 31che, apparsi in gloria, parlavano del suo esodo, che stava per compiersi in Gerusalemme. 32Pietro e quelli con lui erano gravati dal sonno. Restati svegli videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33E avvenne nel separarsi essi da lui [che] Pietro disse verso Gesù: «Capo, è bello che noi siamo qui, e facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia, non sapendo ciò che diceva. 34Mentre diceva queste cose avvenne una nube e li avvolse. Ebbero paura nell’entrare essi nella nube. 35E una voce avvenne dalla nube dicendo: «Questi è il figlio mio, l’eletto, ascoltatelo». 36E nell’avvenire la voce fu trovato Gesù solo. Ed essi tacquero e non annunciarono a nessuno in quei giorni niente di ciò che avevano visto.

  • Il messaggio

L’esperienza che vivono i discepoli viene raccontata anche se è difficilmente descrivibile. Per rendere una così speciale situazione notiamo che viene ripetuto più volte il verbo «avvenne». Esso dà l’impressione del messaggio che vuole dare Luca: tutte queste cose sono accadimenti che hanno un movimento, l’invito di Gesù a entrare in un clima di preghiera in comunione con lui (luogo intimo di relazione con Dio), per entrare progressivamente nel mistero di Dio fino ad entrare nella nube (che esprime il mistero della presenza di Dio in Israele, cfr. la nube nella traversata del deserto o anche nella tenda del convegno). Gesù invita i suoi discepoli a fare un’esperienza che è un accadimento continuo, un invito di Dio per loro, per poter entrare sempre più in profondità nell’esperienza divina. Che si tratti di un’esperienza divina appare chiaro dal sentimento di paura che prende i discepoli e che abbiamo ritrovato svariate volte.

28Avvenne dopo queste parole, circa otto giorni, [che] presi Pietro e Giovanni e Giacomo, salì sul monte a pregare. La richiesta che fa Gesù ha a che fare con l’apertura nell’intimità: quando Gesù deve comunicare qualcosa di molto importante, lo fa in contesti intimi (a tavola, nelle case, alle mense).  In questo caso, Gesù fa assistere i discepoli ad un momento di intima comunione con il Padre. Possiamo chiederci se ogni volta che Gesù parla con il Padre si trasfiguri.

29E avvenne, nel pregare egli, che l’aspetto del suo volto [divenne] un altro e la sua veste [divenne] bianca sfolgorante. La trasfigurazione consiste sostanzialmente in un cambiamento di aspetto; il termine «un altro» indica quasi che Gesù non è più riconoscibile, come nelle apparizioni dopo la Resurrezione. Questa alterità rivela una natura che non è immediatamente visibile. Anche le sue vesti assumono una capacità irraggiante, pullulano di luminosità, sfolgorano, a dimostrazione di una natura di Gesù che a contatto con la preghiera si manifesta.

30Ed ecco due uomini parlavano insieme con lui, i quali erano Mosé ed Elia 31che, apparsi in gloria, parlavano del suo esodo, che stava per compiersi in Gerusalemme. Sono due uomini fondamentali per la storia di Israele, Mosè rappresenta la Legge ed Elia è il profeta per eccellenza. Sono l’espressione più alta delle due vie nella storia di Israele con Dio, la Legge e i Profeti. Mosè ed Elia appaiono in gloria perché vivono in Dio e parlano dell’Esodo di Gesù, cioè della croce. Mosè ed Elia stanno parlando dell’imminenza della passione, morte e risurrezione di Gesù, il centro della Sua missione. Esodo significa letteralmente  “uscita” dal mondo. Gesù dunque prega in intimità con il Padre in comunione piena con la storia di Israele, 

32Pietro e quelli con lui erano gravati dal sonno. Restati svegli videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Ci viene presentato il modo di vivere questo momento da parte dei discepoli. Essi hanno sonno, la situazione è anormale: avvertono una pesantezza, che non dipende dalla loro volontà; il verbo ritorna quando Gesù prega nel Getsemani e gli occhi dei discepoli (gli stessi) sono appesantiti. Tale appesantimento dipende, come viene detto in Lc 21,34 «da crapula, da ubriachezza e dalle ansiose sollecitudini di questa vita». La nostra vita, nella sua consuetudinarietà, ci addormenta, non necessariamente perché ci dissipiamo, ma perché non siamo presenti, siamo distratti nella preghiera, pensiamo ad altro. Gesù invece, per come ha impostato il suo stile di vita, ha una prontezza, una libertà, una capacità di essere svincolato dalle cose per dedicarsi totalmente a Dio. Nonostante ciò resistono, cercano di rimanere svegli.

33E avvenne nel separarsi essi da lui [che] Pietro disse verso Gesù: «Capo, è bello che noi siamo qui, e facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia, non sapendo ciò che diceva. Il termine epìstata, capo, rimanda all’episodio della pesca miracolosa. Pietro esprime semplicemente il desiderio di prolungare questa esperienza, anche se lo appesantisce. Pietro esprime un’adesione alla situazione che Gesù sta vivendo.

34Mentre diceva queste cose avvenne una nube e li avvolse. Ebbero paura nell’entrare essi nella nube. La paura è una delle condizioni tipiche della presenza di Dio. Si trovano dentro la presenza di Dio.

35E una voce avvenne dalla nube dicendo: «Questi è il figlio mio, l’eletto, ascoltatelo». 36E nell’avvenire la voce fu trovato Gesù solo. Ed essi tacquero e non annunciarono a nessuno in quei giorni niente di ciò che avevano visto. I discepoli ora fanno un’esperienza del Padre che non è visiva ma uditiva, ascoltano la Parola che Dio dice. Dopo di questo, Gesù rimane solo, la voce conclude l’esperienza di Dio e quello che rimane è la Parola. Si tratta di un’esperienza che non può essere trasmessa perché le parole non sono sufficienti, i discepoli tacciono per questo. E’ un’esperienza indicibile, non è perché Gesù vieta loro di parlare.

Possiamo chiederci perché Gesù voglia far fare esperienza della sua trasfigurazione ai discepoli, per quale motivo chiami solo loro ponendoli in una condizione del tutto nuova. Gesù vuole che i discepoli, che hanno fatto esperienza straordinaria della Sua persona, producano una obbedienza straordinaria (l’ascolto è obbedienza, termine che viene dal latino ob-audire). Ad una persona alla quale Dio ha parlato direttamente non possiamo attribuire la medesima responsabilità di una persona che invece ha vissuto una esperienza di fede ordinaria («a chi molto è stato dato, sarà richiesto ancora di più», Lc 12, 48). Gesù sta facendo in modo che i tre discepoli (gli stessi che chiamerà nell’orto degli ulivi) producano un’obbedienza, una fede, un ascolto proporzionato a quello che hanno vissuto, perché dovranno sostenere lo scandalo della croce, Gesù sta dunque preparando queste persone a vivere una situazione difficile chiedendo loro di camminare, di crescere. Tutte le volte che viviamo una prova il Signore ci ha già dato o ci dà tutto quello che è necessario per superare la prova, anche quando la prova è complicata. Quando noi facciamo fatica, forse è perché abbiamo dimenticato l’esperienza o il cammino che abbiamo fatto (anche ad Israele viene chiesto di ricordarsi del cammino) con Lui. Se non ci ricordiamo queste esperienze non possiamo rispondere e quindi crescere nella fede. La Trasfigurazione è importante proprio per questo, perché tutti dobbiamo considerare che abbiamo avuto un’esperienza che ci chiede qualcosa. In tal senso il dono della Parola che ci viene offerto è allo stesso tempo responsabilità, non possiamo pensare di vivere “come gli altri”, questa sarebbe una regressione, ci porterebbe a dimenticare l’esperienza che abbiamo avuto con il Signore e “normalizzare” tutto, secondo gli standard minimi. La Trasfigurazione in definitiva ci pone davanti alla grande esperienza che Gesù fa fare ai suoi e che chiede un cammino, una testimonianza, una risposta proporzionale a quanto si è avuto. Entrare in Dio significa assumerne tutto il peso, basti pensare alle parole appena dette da Gesù in Luca 9, 23 « Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Dio fa il primo passo, ma a noi tocca rispondere.

  • Le risonanze personali

vv. 28-36 Gesù sceglie tre apostoli con i quali condividere un momento di intimità ancora più profondo.  Gesù durante la preghiera si trasfigura. Pietro e i due apostoli nonostante la stanchezza sono rapiti da questa atmosfera di profonda intimità e vogliono prolungarla il più possibile.  Alla presenza della nube che rappresenta Dio stesso,  gli apostoli sono presi dalla paura. Dio esorta loro ad ascoltare il Figlio. È una inequivocabile manifestazione che Gesù è il Messia.

Perché Gesù si è manifestato nella gloria davanti a questi apostoli?

  • Alcune domande per riflettere
  • In che modo vivo la mia preghiera? È un incontro trasfigurante con Dio?
  • Ho fatto esperienza di un preghiera/rapporto con Dio ostacolata da qualche torpore? Quale nome ha questo torpore?
  • A quale Parola è legata la mia “esperienza più forte” di Dio?
  • Il Padre chiede l’ascolto del Figlio trasfigurato in previsione dello scandalo della croce, quale impedimento mi trattiene dal ricordare questa esperienza?
  • Senza memoria della comunione con Gesù non si può affrontare la prova: mi capita di fare memoria della mia esperienza con Gesù? Lo faccio metodicamente o quando capita? E perché?