48) Lc 10, 1-12 – 17/03/2021

  1. Il testo

1Dopo queste cose designò il Signore altri settantadue e li mandò, due [a due], davanti al suo volto in ogni città e luogo dove stava per andare. 2Diceva loro: «La messe [è] molta, gli operai pochi; pregate dunque il Signore della messe cosicché getti operai nella sua messe. 3Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi. 4Non portate né borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessun per via. 5In qualsiasi casa doveste entrare, prima dite: “Pace a questa casa”. 6E se lì ci dovesse essere un figlio di pace, la vostra pace scenderà su di lui. Se invece no, tornerà su di voi. 7Nella stessa casa rimanete mangiando e bevendo ciò che è presso di loro. Degno infatti [è] l’operaio della sua ricompensa. Non girate di casa in casa. 8E nella città nella quale doveste entrare e vi accolgono, mangiate ciò che vi viene posto innanzi. 9E curate quelli che in essa sono malati e dite loro: “è vicino a voi il regno di Dio”. 10Nella città in cui doveste entrare e non vi accolgono, usciti nelle loro piazze dite: “11Anche la polvere attaccata a noi dalla vostra città ai piedi scuotiamo [contro] di voi. Tuttavia sappiate questo: è vicino il Regno di Dio”. 12Vi dico che Sodoma in quel giorno sarà più tollerata che quella città».

  • Il messaggio

Il brano assomiglia molto al brano dell’invio dei discepoli letto all’inizio del capitolo 9.

1Dopo queste cose designò il Signore altri settantadue e li mandò, due [a due], davanti al suo volto in ogni città

e luogo dove stava per andare. Si tratta della prosecuzione del cammino che sta facendo Gesù; l’invio dei settantadue (il numero dodici, che ci ricorda i dodici apostoli, è ripetuto sei volte, è un chiaro riferimento all’intensificazione dell’azione di Gesù) è accompagnato da alcune parole che indicano le azioni che gli inviati devono compiere: pregare e andare. 2Diceva loro: «La messe [è] molta, gli operai pochi; pregate dunque il Signore della messe cosicché getti operai nella sua messe. 3Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi. 4Non portate né borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessun per via. La preghiera è data dal fatto che c’è una necessità dovuta alla grande messe, spighe pronte per la mietitura che però devono essere tagliate. L’unico che può mandare gli operai è il Padre, la preghiera è necessaria perché nessuno può darsi da solo una vocazione (si pensi alle vocazioni del brano precedente). L’andare come agnelli può essere inteso in diversi modi: si tratta di una richiesta o della condizione degli inviati? Gesù dice chiaramente che gli inviati sono pecore in mezzo ai lupi, spiega loro che si troveranno nella condizione di essere aggrediti, attaccati. Pertanto Gesù invita a camminare senza bisaccia, senza borsa, senza sandali, spogliati, disarmati. Inoltre può essere anche l’invito a uno stile che è quello specifico di Gesù.

                5In qualsiasi casa doveste entrare, prima dite: “Pace a questa casa”. 6E se lì ci dovesse essere un figlio di pace, la vostra pace scenderà su di lui. Se invece no, tornerà su di voi. 7Nella stessa casa rimanete mangiando e bevendo ciò che è presso di loro. Degno infatti [è] l’operaio della sua ricompensa. Non girate di casa in casa. Nelle parole di Gesù dobbiamo distinguere due momenti, contraddistinti da due luoghi, la casa e la città. Il riferimento alle case in cui gli inviati entrano ci rimanda al brano precedente in cui Gesù invita ad uscire dalla propria casa. In casa si rimane, è un luogo residenziale, un luogo dove fermarsi per predicare nella città. In effetti, nelle città si cura e si annuncia il Regno. L’annuncio del Regno dunque afferisce alle città, la casa è legata alla permanenza. Entrando in una casa bisogna innanzitutto donare la pace per comprendere se gli abitanti della casa sono disposti ad accogliere i missionari di Gesù. Se la pace di Cristo scende in quella casa, ci si può rimanere, altrimenti torna sui discepoli stessi. Gesù richiede inoltre ai suoi inviati di vivere la stessa vita degli abitanti della casa, mangiare e bere con loro. La ricompensa degli operai è l’ospitalità, una sorta di corrispettivo alla benedizione che rimane su quella casa. Bisogna infine intendere che pace e benedizione afferiscono ai beni, a tutto ciò a cui provvede il Signore[1]. La pace è espressione di una comunione tra chi la dà e chi la riceve, se non viene accolta, la comunione manca. Il non girare di casa in casa riguarda il fatto che se si viene accolti, si rimane in quella stessa casa.

                8E nella città nella quale doveste entrare e vi accolgono, mangiate ciò che vi viene posto innanzi. 9E curate quelli che in essa sono malati e dite loro: “è vicino a voi il regno di Dio”. Anche nelle città c’è una dinamica di accoglienza. Le azioni tipiche dei discepoli sono curare e annunciare, e ciò avviene nella città. L’annuncio portato può essere accolto o rifiutato. Se viene rifiutato, gli inviati non possono curare e predicare, ma sono chiamati almeno a dire che il regno di Dio è vicino: 10Nella città in cui doveste entrare e non vi accolgono, usciti nelle loro piazze dite: “11Anche la polvere attaccata a noi dalla vostra città ai piedi scuotiamo [contro] di voi. Tuttavia sappiate questo: è vicino il Regno di Dio”. La vicinanza del Regno non è solo fisica e dipende anche dall’accoglienza. Il Regno è «vicino a voi» se viene accolto, diversamente è semplicemente – o forse dovremmo dire genericamente – «vicino». Il gesto di scuotere la polvere dai piedi è segno che ormai non c’è più nulla in comune con chi non accoglie il Regno. Che il Regno è vicino bisogna dirlo comunque, anche se non si viene accolti, è il modo benevolo che gli inviati hanno per salvare gli altri, per svegliarli. 

12Vi dico che Sodoma in quel giorno sarà più tollerata che quella città». L’accoglienza o meno del regno di Dio produce il giudizio in sé. Emerge tutta la nostra responsabilità nell’ascolto della Parola. Se la Parola ci viene offerta e noi la rifiutiamo, ne siamo responsabili. La frase è dura perché fa riferimento ad una città che si oppone a Dio, che si ribella.

Rifiutare la pace, rifiutare la Parola, non significa rifiutare chi la porta, ma significa rifiutare Cristo.

  • Le risonanze personali

vv. 1-12 In questo brano mi ha molto interrogato il v. 3 “..io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi ” che mi è sembrato sottolineare le difficoltà che si possono incontrare nella sequela di Gesù   . Da un punto di vista umano non è presente nessuna gratificazione, ma la consapevolezza di essere annunciatori di pace con la possibilità anche di non trovare accoglienza . Mi sono chiesta dunque quale è il mio atteggiamento quando seguire Gesù rappresenta  una difficoltà e mi porta a non trovare accoglienza, se sono comunque disposta a camminare davanti al suo volto o preferisco non rendere testimonianza perché mi sembra più semplice . Quanto sono disposta a farmi agnello e stare in mezzo lupi o se preferisco conformarmi ai lupi ? Non vi è una risposta precisa a questo interrogativo, ma spero che guardandosi dentro ed avere la consapevolezza  delle personali fatiche possa essere un modo per camminare nell’impegno .

Un’altra riflessione è relativa all’annuncio del Regno che si realizza anche se non trova accoglienza e, pertanto, ho ragionato sul fatto che il rifiuto del messaggio di Cristo è un male per sé stessi .

Sono certa che quello che portiamo nel cuore condiziona le relazioni con il Signore e con i fratelli  ed ammetto che la fedeltà alla Parola è un valido strumento per verificare quando sono presenti paure o preoccupazioni che causano allontanamento da Dio . Tale esercizio mi porta ad avere un approccio alla preghiera e alla confessione con cui spero di indirizzare il mio cuore ai desideri del Signore e superare le divisioni.

vv. 1-12 Sono stata tentata di fermarmi alla prima impressione riguardo a questo brano e cioè quasi un “fastidio”. Mi sembrava una forte contraddizione tra l’espressione del v. 3 «come agnelli in mezzo ai lupi» e i versetti che parlano degli inviati che scuotono la polvere da sotto ai loro piedi. Mi sembrava in contraddizione perché forse male interpretavo il concetto di agnello. Come se i cristiani fossero i “buoni” che devono sempre fare i buoni anche se attaccati. Mi sono allora chiesta cosa significhi essere agnelli in mezzo ai lupi. Cosa cerca un lupo in mezzo agli agnelli? Il lupo cerca di prendere per sé, di arraffare, di divorare, cerca il proprio interesse. Chi è invece l’agnello in mezzo ai lupi? Chi è lì ma non può ottenere nulla per sé dai lupi, colui che si dona, che si offre e non tiene la vita per sé – praticamente quello che sta dicendo Gesù da un po’. In tal senso, la parola dei versetti successivi, riguardo l’accoglienza o la mancata accoglienza, si può comprendere in un’ottica di libertà, la libertà di chi dona la sua vita, si spende per l’annuncio del Regno di Dio senza pretendere nulla in cambio.

4.Alcune domande per riflettere

  • Ho mai pensato che la mia chiamata di cristiano sia un invio davanti a Gesù? Sia un modo per preparare il suo cammino? Cosa faccio per vivere questo invio?
  • Avverto mai l’urgenza di operai nella messe di Dio? Avverto il dovere di contribuire in qualche modo? Cosa faccio? 
  • La pace del mio cuore è il criterio per cui accolgo/rifiuto il vangelo, Cristo, i suoi inviati e i fratelli. Ho mai pensato che le mie relazioni con Dio, i sacerdoti e i fratelli nella fede possano dipendere soprattutto da ciò che ho nel cuore? Come mi spinge a cambiare questo pensiero?
  • Ho mai pensato che l’azione di Dio nella mia vita dipende dalla disposizione con la quale l’ho accolto o meno? Nel mio cuore accolgo il Regno “vicino” o preferisco tenerlo “a distanza”?
  • Ho mai percepito la parola del vangelo come un avviso a ciò che sto sbagliando? Come reagisco a questo avviso: lo comprendo come un atto di amore di Dio o come una minaccia? Cosa faccio per modificare questa percezione?

50) Lc 10, 13-16 – 24/03/2021

  1. Il testo

13Guai a te, Corazin, guai a Te Betsaida: poiché se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli che sono avvenuti in voi, da tempo si sarebbero convertiti seduti in sacco e cenere. 14Perciò Tiro e Sidone saranno più tollerate nel giudizio che voi. 15E tu Cafarnao, forse che sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai gettata! 16Chi ascolta voi ascolta me, e chi rigetta voi rigetta me. Chi rigetta me, rigetta chi mi ha mandato.

  • Il messaggio

La prima frase è in continuità con il brano scorso (Lc10,8-11: 8E nella città nella quale doveste entrare e vi accolgono, mangiate ciò che vi viene posto innanzi. 9E curate quelli che in essa sono malati e dite loro: “è vicino a voi il regno di Dio”. 10Nella città in cui doveste entrare e non vi accolgono, usciti nelle loro piazze dite: “11Anche la polvere attaccata a noi dalla vostra città ai piedi scuotiamo [contro] di voi. Tuttavia sappiate questo: è vicino il Regno di Dio”).

13Guai a te, Corazin, guai a Te Betsaida. L’espressione è legata all’eventualità che le città non accolgano gli inviati di Gesù. Il termine “guai” è presente anche in Marco nei capitoli 13 e 14 «guai a quell’uomo meglio che non fosse mai nato», in riferimento a Giuda, e «guai alle donne che allatteranno in quel periodo». Esso può essere compreso sia come una forma di maledizione, ma non lo è, che come forma di commiserazione. Essa vuole sottolineare la responsabilità che deriva nell’aver partecipato ai miracoli che vedono la potenza di Dio. Questa forza che proviene da Dio, esprime un’azione di Dio nella storia. L’avanzamento del regno di Dio è la parola di Dio che viene accolta, gli esorcismi e le persone che vengono guarite, Dio agisce nella storia. Tuttavia, perché quest’azione si verifichi è necessario che la parola venga portata agli uomini per poter trasformare e agire. Betsaida e Corazin sono probabilmente le città dove Gesù ha trascorso più tempo e probabilmente dove Dio ha agito maggiormente.

La manifestazione dell’azione di Dio, è un evento che chiede conversione e penitenza, e l’Evangelista ne riporta un esempio: «poiché se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli che sono avvenuti in voi, da tempo si sarebbero convertiti seduti in sacco e cenere». La conversione è il cambiamento del modo di pensare e quindi di agire, riconoscimento e ammissione pubblica del proprio errore. È l’espressione non di un dovere morale, ma frutto di qualcosa che accade dentro di noi, poiché Dio ci tocca nella nostra intimità e facciamo penitenza. La conversione e la penitenza sono frutto di qualcosa che è accaduto nel nostro cuore, c’è la comprensione e il movimento.

La domanda del versetto 13 ci fa riflettere e porre alcune questioni: è possibile non essere toccati dall’azione di Dio? non essere convertiti? Vogliamo Dio vicino o lo vogliamo tenere a distanza controllando la sua azione dentro di noi?

Il primo elemento è la domanda sul perché Corazin e Betsaida non si sono lasciate toccare e il secondo elemento è la constatazione che Tiro e Sidone sono certo due città pagane, ma saranno più tollerate in giudizio perché non hanno ricevuto gli stesi doni delle altre città e quindi sono meno responsabili. La domanda di fondo che permea le parole di Gesù è: “perché non avete permesso a Dio di entrare nel vostro cuore? Dio ha agito manifestamente in mezzo a voi eppure non vi siete lasciate toccare fino in fondo!.

15E tu Cafarnao, forse che sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai gettata! 16Chi ascolta voi ascolta me, e chi rigetta voi rigetta me. Chi rigetta me, rigetta chi mi ha mandato. Cafarnao è il luogo dove Gesù è andato ad abitare, è il luogo dove c’è la casa di Pietro, è il luogo dove Gesù si è fermato maggiormente, per questo il discorso per Cafarnao è un po’ diverso. Le parole di Gesù lasciano trasparire da parte di Cafarnao la tentazione di essere migliore delle altre perché è lì che Gesù vive. La presenza di Gesù non genera conversione ma diventa addirittura uno strumento per accrescere la superbia, la considerazione di essere meglio degli altri. Il rischio degli apostoli che stanno vicini a Gesù è proprio quello di chiedersi chi tra loro sia più importante. Il problema è che la presenza di Gesù non è diventata un’occasione per avere un rapporto con Gesù qualitativamente superiore ma è diventata motivo di vanto sugli altri. La superbia è un grande inganno perché sposta il contenuto della relazione su un desiderio di essere di più degli altri. Questo atteggiamento è diabolico.

L’ultima parte del brano fa riferimento all’ascolto, dove ascoltare significa accogliere ma anche obbedire, cioè fare in modo che all’ascolto segua una conseguenza. Chi non obbedisce non sta ascoltando. Chi non rinnega se stesso e prende la sua croce per seguire Gesù non ha ascoltato. L’ascolto vede nella parola di Dio uno strumento di Dio che parla. L’ascolto vero è la capacità di guardare il messaggio che arriva e la strumentalità del messaggero. Il messaggero può avere tante facce ma ciò che è importante è la risposta a colui che Dio mi ha mandato. Noi ascoltiamo non i messaggeri, ma la Parola di Dio di cui sono strumento.

  • Le risonanze personali

vv. 13-16 Il fatto che si citino tante città mi fa pensare che si tratti di un riferimento al dualismo case-città che abbiamo

visto nel brano precedente. Le città citate mi fanno pensare al criterio dell’annuncio del Regno di Dio. E’ singolare che la parola miracoli sia stato espresso in greco con dynàmeis, letteralemte “forze”, mi rimanda alla forza e all’autorità dei discepoli.

  • Alcune domande per riflettere
  • Penso che ci sono episodi della mia vita in cui Dio ha mostrato la sua potenza? Quali sono queste situazioni? Ho l’abitudine di ricordarle o non ci faccio caso? E perché?
  • Avverto la necessità non formale di chiedere perdono? Insomma: sono mai stato “toccato” dall’azione di Dio?
  • Quali i modi di pensare che Dio chiede di cambiare? Sono disposto a farlo? Ho mai avvertito/avverto il pentimento di qualcosa che sento mi richieda penitenza?
  • La familiarità con Dio è una brutta consigliera: genera superbia, pensiero di essere migliori degli altri. Ho mai pensato che la mia vicinanza alla Chiesa mi ponga su un piano superiore rispetto agli altri fratelli? Ho provato a ragionare nell’ottica del servizio degli altri o nel servizio di me? Ho mai pensato che se ho avuto di più sono necessariamente chiamato ad offrire a chi non ha avuto come me?
  • Il messaggero di Dio è uno strumento: io però sono chiamato a rispondere a Dio non allo strumento. Sono mai stato tentato – nel bene e nel male – di fermarmi davanti allo strumento? Ho mai agito/re-agito perché esso è per me piacevole/inviso? Rifletto abbastanza sul fatto che Dio mi chiederà conto della Sua Parola che richiede a me in prima persona una risposta?

[1] Si pensi all’episodio di Elia e la vedova di Sarèpta, 1 Re 17, vv. 1-16; la presenza di Elia e la generosità della vedova portano ad un non esaurirsi della farina.