56) Lc 11, 24-27 – 26/05/2021
- Il testo
24«Quando uno spirito impuro esce dall’uomo, va attraverso luoghi aridi cercando riposo e non trovando[lo], [allora] dice: “Tornerò nella mia casa da dove sono uscito”. 25E andando, trova spazzata e ordinata, 26allora va e prende altri sette spiriti più malvagi di lui ed entrato abita lì. E le ultime [condizioni] di quell’uomo divengono peggiori delle prime».27Avvenne nel dire egli queste cose che una donna alzata la voce dalla folla disse a lui: «Beato il ventre che ti ha portato e i seni che ti hanno allattato». 28Egli disse: «Piuttosto beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la difendono».
- Il messaggio
In piena continuità con il precedente, il brano ha a che fare con l’azione di scacciare un demonio ma anche con la reazione dei presenti nel riconoscere l’azione di Dio in ciò che Gesù sta facendo. Nel prosieguo del suo discorso, Gesù sta mostrando quanto sia importante prendere una posizione in comunione con la sua azione. Il rischio che sta dietro al rifiuto del riconoscere l’azione di Dio dentro di noi è raccontato da Gesù nei primi versetti. Ci sta dicendo che anche se Dio è intervenuto nella nostra vita, se lo rinneghiamo non solo la nostra vita torna come prima, ma rischia addirittura di peggiorare (il numero sette del v. 26 indica una pienezza, seppure al contrario).
Il racconto dei vv. 24-26 ha come protagonista uno spirito impuro, che come accade in vari brani del Vangelo di Luca ha sempre un’azione distruttiva nei confronti dell’uomo (cfr. l’episodio dell’indemoniato Geraseno). 24«Quando uno spirito impuro esce dall’uomo, va attraverso luoghi aridi cercando riposo e non trovando[lo], [allora] dice: “Tornerò nella mia casa da dove sono uscito”. Sembra che lo spirito impuro sia nella sua condizione ideale quando riesce ad animare qualcuno, infatti va in luoghi deserti – dove abitano i demòni nella tradizione biblica – e non riesce a trovare riposo. Di qui decide di voltarsi indietro, di girarsi, il verbo usato è hypostrépho, verbo della conversione; siamo dinanzi ad un ritorno di una debolezza. In effetti, nella vita spirituale dobbiamo stare attenti proprio ai nostri punti deboli, perché il rischio che alcune situazioni ritornino è molto forte. La possibilità dello spirito impuro di ritornare dipende da una mancanza di difesa, come abbiamo visto nel brano precedente (Lc 11, 21, il verbo utilizzato è phylàsso, lo stesso che ritroviamo al v. 28).
25E andando, trova spazzata e ordinata, 26allora va e prende altri sette spiriti più malvagi di lui ed entrato abita lì. E le ultime [condizioni] di quell’uomo divengono peggiori delle prime». L’uomo forte che viene cacciato da qualcuno che è più forte può tornare a casa solo quando «l’uomo più forte» non la abita più. Fuor di metafora ciò significa che un uomo che aderisce alla fede vivendo l’azione liberante di Dio e che poi si allontana da Dio, non ha più difese contro il male; non essendoci chi lo difende, lo spirito impuro può attaccarlo più facilmente, rientrando nella sua anima in maniera più forte. Chi incontra Dio e si lascia toccare da Lui, ma poi si allontana, rischia non solo di cadere nella condizione precedente, ma addirittura in una condizione peggiore di quella iniziale. Dal punto di vista spirituale si usa infatti dire che non ci si può mai fermare, o si va avanti o si torna indietro, non c’è nessuna possibilità di omeostasi, o c’è un progresso nella relazione con Dio o c’è un regresso (che corrisponde ad un regresso della condizione interiore dell’uomo). Alla base di tutto c’è la relazione con Gesù, e questo ci porta alla seconda parte del brano.
27Avvenne nel dire egli queste cose che una donna alzata la voce dalla folla disse a lui: «Beato il ventre che ti ha portato e i seni che ti hanno allattato». 28Egli disse: «Piuttosto beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la difendono». Le frasi che esclama la donna si riferiscono alla qualità della relazione con Dio; il riferimento è ad una relazione di vicinanza, e noi sappiamo che la relazione massima di vicinanza ed intimità è quella di una madre con il proprio figlio, che porta dentro di sé il proprio figlio e nutre mediante se stessa il proprio figlio. L’esclamazione viene da una donna, che usa le categorie di una donna; tuttavia il suo orizzonte è solo umano, il riferimento all’accogliere, al portare, al nutrire, ha una sfumatura umana. Gesù risponde spostando il livello: a Lui non interessa il livello umano, ma ci fa capire che la relazione con Lui si sviluppa su un livello dove la Sua persona e la Parola sono la stessa cosa. Al portare in grembo corrisponde infatti il portare la Parola di Dio: sono due beatitudini diverse, quella umana di una madre e quella di una familiarità con Gesù e con la Sua Parola che è la vera beatitudine. La Parola di Dio libera, instaura il Regno, è capace di creare la presenza di Dio nell’uomo. Portare Gesù dentro di noi diventa sinonimo ascoltare la Parola e portarla con noi come una donna porta nel suo ventre il figlio, accogliendo la vita (e la Parola è Vita, ha vita propria): tutto ciò ci ricorda la parabola del seminatore. Il verbo phylàsso (difendere, fare la guardia), è altrettanto importante: ci rimanda a Genesi 3 e alla risposta di Caino dopo l’uccisione di Abele, «Sono forse il custode di mio fratello?».
Questa custodia può essere intesa in vari modi: per esempio la difesa della Verità nelle crociate; in realtà, in questo contesto il riferimento è piuttosto ad una difesa di una casa dai nemici. In altri termini Gesù ci chiede una difesa della Parola da ciò che può essere un’aggressione a quanto la Parola è portata in noi. La Parola deve essere condotta in noi, ascoltata e difesa dai pericoli. Analogamente, nella parabola del seminatore (Lc 9, 5-15), si parla di una forma di disprezzo della Parola (la strada calpestata); si parla di mancanza di radici in se stessi che porta allo scandalo e all’allontanamento (terreno arido); si parla di sottomissione della Parola alle passioni (i rovi); difendere la parola al contrario significa darLe spazio, farLa crescere, darLe l’autorità che possiede, darLe il valore della Verità, continuare ad esserLe fedele anche durante la prova. Non possiamo mettere la Parola al pari delle parole umane, non possiamo lasciarci sopraffare dalla vita: dobbiamo mantenere il primato della Parola di Dio, difendere il tempo di ascolto della Parola dalle preoccupazioni, dalle cose da fare. Si tratta dunque di una difesa interiore, la Parola deve crescere come un bambino, o meglio come un granello di senape; la Parola, appena ascoltata, va protetta, si deve consolidare in noi.
3.Le risonanze personali
vv. 24-27 L’ultimo versetto mi pare la chiave di volta del brano. La difesa della Parola può essere un modo per evitare ciò che è detto nei primi versetti, e che corrisponde ad una frase nota, e cioè che nella vita spirituale, se non si avanza, si regredisce. Ho visto nel racconto fatto da Gesù un monito: per difendere la Parola significa coltivarla, facendo attenzione a non regredire.
- Alcune domande per riflettere
- Sai riconoscere i progressi/regressi della tua vita spirituale? A che cosa li attribuisci? Provi a recuperare o ti lasci andare pensando che la situazione migliori da sé?
- Riesci «a portare con te» la parola di Dio nella tua giornata? In che modo la «porti»?
- Cosa significa concretamente per te «difendere» la parola di Dio nella tua vita?
- È la «vicinanza» alla parola di Dio che costruisce la relazione con Dio e i fratelli o ci sono altri criteri di prossimità? In che relazione questi stanno con la parola? Cosa c’entra il «portare» e il «difendere» la Parola con le persone che ruotano attorno alla tua vita?
- Cosa c’entra la tua vita spirituale con le persone che ruotano attorno alla tua vita?