63) Lc 12, 32-40 09/10/2021
- Il testo
32Non temere, piccolo gregge, poiché al padre vostro è piaciuto di dare a voi il Regno. 33Vendete i vostri beni e date[li] come elemosina. Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove ladro non giunge, né tignola distrugge. 34Dove è infatti il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore. 35State, i fianchi cinti e le lucerne accese. 36E [state] voi come uomini che accolgono il loro signore quando torna dalle nozze, affinché essendo giunto e avendo bussato subito gli aprano. 37Beati quei servi i quali, essendo giunto il signore, li troverà svegli. In verità vi dico che si cingerà e li farà sedere e passerà a servirli. 38E se nella seconda, se nella terza veglia sarà venuto e [li] troverà così, beati sono quelli. 39Conoscete questo: se il padrone di casa sapesse in quale ora il ladro viene, non lascerebbe che la sua casa sia scassinata. 40 E voi diventate pronti poiché nell’ora che non pensate viene il figlio dell’uomo.
- Il messaggio
32Non temere, piccolo gregge, poiché al padre vostro è piaciuto di dare a voi il Regno. Il brano è la continuazione dei due precedenti, ovvero del discorso fatto da Gesù ai discepoli. L’espressione «Non temere» potrebbe far sembrare che il discorso possa scoraggiare a mettere al centro il Regno nella nostra vita. In effetti, siamo soggetti a tentazione, scoraggiamento rispetto al cercare il Regno come prima cosa. Il discorso di Gesù non è teorico, si fonda su un movimento che tutti noi sperimentiamo.
L’appellativo “piccolo gregge” tendenzialmente rispecchia la parola con la quale si identifica il popolo di Dio (es. Israele è il Regno di Dio). Che significa “piccolo”? Innanzitutto, un numero ristretto rispetto alla totalità. Obiettivamente sono pochi coloro i quali aderiscono al messaggio di Gesù. Anche all’interno della totalità del gregge, non tutti accolgono la dimensione del primato del Regno.
Di fronte alla parola di Gesù, ci sono infatti diversi modi per seguirlo, anche per noi cristiani: Dio sceglie ciò che è piccolo, ciò che nel mondo non è considerato. Come guardiamo al fatto che sono pochi i discepoli di Gesù? Ci lasciamo scoraggiare dalla quantità di persone che lo seguono?
33Vendete i vostri beni e date[li] come elemosina. Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove ladro non giunge, né tignola distrugge. 34Dove è infatti il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore. Proseguendo, Gesùdà due indicazioni che afferiscono a due elementi della vita: i beni e il cuore.
Per Gesù vendere e dare in elemosina corrisponde a farsi un tesoro in cielo, che invece è l’opposto di accumulare. Accumulare è fare l’opposto sulla Terra, ovvero farsi un tesoro terreno. Dare ai poveri, regalare, alienare i propri beni significa crearsi un tesoro nel cielo. C’è una correlazione tra accumulare e spogliarsi dei beni, e accogliere o meno il Regno celeste. E cioè, se tendiamo ad accumulare, il nostro sguardo è terrestre. Se invece doniamo, il nostro sguardo è soprannaturale, in quanto guardiamo aldilà di quanto è terrestre. Il bene che possiamo fare è infatti direttamente proporzionale a quello di cui siamo disposti a privarci.
C’è una correlazione tra amare e privarsi di qualcosa, fino alla totale donazione di sé (Cfr. Gv 15, 12: «Non c’è amore più grande di questo: donare la vita per i propri amici»): non soltanto dunque con i beni, ma con la donazione della vita stessa. Le amicizie non si costruiscono solo sulle cose in comune, ma sulla capacità di dono, che è la capacità di privarsi di qualcosa. Un amico che si tiene tutto per sé e dà il superfluo, non è amico. Possiamo ricordarci anche della parabola della vedova nel tempio (Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4): Gesù osserva che molti lasciano le monetine, il superfluo, invece la vedova dà tutto quello che ha, cioè tutta se stessa. Il principio è nella la capacità di dare fino a dare se stessi, che diventa donazione.
Esiste inoltre una relazione tra la capacità di donare e il cuore. Il cuore si configura a seconda se guardiamo più alle cose terrene o alle cose celesti, e quindi al Regno. La capacità di donare, amare, di essere amici dipende da quanto il nostro cuore è “celeste”. Questo ha un profondissimo aspetto relazionale: quanto più il nostro cuore è radicato negli orizzonti terreni tanto più è indisponibile ad amare, ad essere amico dell’altro, e di Dio. Quanto più il cuore è radicato in desideri, progetti, preoccupazioni celesti, che appartengono all’orizzonte di Dio, tanto più siamo capaci di amare.
Tuttavia, il Regno dei cieli non consiste solo nel nostro rapporto personale con Dio, ma è la liberazione, lo sblocco del nostro rapporto con gli altri. Qual è la qualità delle nostre relazioni? Dipende dalla nostra relazione con Dio. L’insegnamento di Gesù va in questa direzione, anche se il mondo si ribella a questo insegnamento (il vangelo del giovane ricco, Mt 19, 16-22, ne è un esempio). L’insegnamento di Gesù riguarda tutte le forme di relazioni: da quelle primordiali come il matrimonio, a quelle ecclesiali e interecclesiali, ovvero tra le persone. Gesù ci fa capire che il cuore si può misurare. Come?
35State, i fianchi cinti e le lucerne accese. 36E [state] voi come uomini che accolgono il loro signore quando torna dalle nozze, affinché essendo giunto e avendo bussato subito gli aprano. La seconda parte del brano si apre con un verbo bellissimo: «State», che indica un senso di permanenza, un restare. Lo stare è uno stare nel rapporto col Regno. Adesso Gesù sta facendo un passo ulteriore. Prima ci ha detto che se guardiamo verso l’alto il nostro cuore si arricchisce, e che se guardiamo verso il basso il cuore, di fatto, si impoverisce. Adesso invece, ci sta dicendo di restare in questa condizione: nella relazione con Dio, che è costantemente in pericolo di sommersione delle cose che dobbiamo fare. Questa relazione è sempre in pericolo di essere messa agli ultimi posti.
L’espressione «Fianchi cinti, lucerne accese» ricorda molto la Pasqua del Signore, nell’essere pronti. La veglia pasquale deve mantenere la tensione di quello che stiamo celebrando. E poi ci dice anche come “stare”: «come uomini che accolgono il loro signore quando torna dalle nozze».
37Beati quei servi i quali, essendo giunto il signore, li troverà svegli. In verità vi dico che si cingerà e li farà sedere e passerà a servirli. Il nostro rapporto con il Signore è asimmetrico, e noi siamo soliti interpretarlo come un dovere. Invece, il rapporto servo-signore è un’affiliazione, un’amicizia: Gesù non ci chiama più servi, ma amici (Gv 15, 15). Dipende dal nostro atteggiamento: se siamo in un rapporto di dovere o di amicizia filiale nei confronti del Signore. E infatti, la cosa bellissima del brano è che è il Signore a capovolgerne il senso: quando il Signore trova un servo che lo ama, si fa Lui servo.
Un altro aspetto importante è che l’amore si manifesta nei dettagli. Una cosa la si può fare perché dobbiamo, oppure perché stiamo aspettando veramente il Signore. Questo ricorda molto la preoccupazione materna o genitoriale, quando si aspetta un figlio che arriva. La prontezza è l’amore di quella persona. Allo stesso modo, il giovane ricco su citato non vuole il Regno perché Gesù gli ha dato un aut-aut: il giovane è arrabbiato perché Gesù gli ha chiesto ciò a cui non avrebbe voluto rinunciare, che per lui viene prima del Regno.
38E se nella seconda, se nella terza veglia sarà venuto e [li] troverà così, beati sono quelli. 39Conoscete questo: se il padrone di casa sapesse in quale ora il ladro viene, non lascerebbe che la sua casa sia scassinata. 40 E voi diventate pronti poiché nell’ora che non pensate viene il figlio dell’uomo. Alla fine del brano, con un’altra parabola, Gesù ci invita a diventare pronti, perché pronti non si nasce. L’amore non è una cosa a basso prezzo. Il Cantico dei Cantici ce lo dice: l’amore si ripaga solo con l’amore. Non servono le buone azioni o blandire Gesù. Ma l’amore è un lavorio in cui sbagliamo, cadiamo, torniamo indietro. Allora, il tempo che ci viene dato è per diventare pronti.
Gesù inoltre utilizza il verbo venire al presente: abbiamo bisogno di riflettere che il Figlio dell’uomo è nell’atto di venire, sta prima Lui e poi noi. La prontezza quindi è un aprire gli occhi perché là Gesù è presente, anche se noi non ce ne accorgiamo.
- Alcune domande per riflettere
- Il piccolo gregge è un gruppo ristretto di discepoli di Gesù. Egli fa riferimento al fatto che la comunità ha una dimensione piccola. Eppure questa piccolezza non è un ostacolo alla crescita della comunità? Penso che l’efficacia della testimonianza sia legata all’importanza/influenza dei membri nella società? Mi riconosco come parte del “piccolo gregge”?
- Per fare il bene deve spesso privarmi di qualcosa. Fino a che punto sono disposto a fare il bene? Fino a che punto sono disposto a rinunciare a ciò che mi appartiene – a ciò che sono – per amare?
- Il mio cuore è un indicatore dei miei desideri. Dove dimora il mio cuore? Cioè dove sono i miei desideri, le mie preoccupazioni, le mie aspirazioni? Si fermano alle cose umane o salgono verso il cielo?
- La qualità dell’amore non sta solo nelle azioni, ma nei dettagli. In tal senso la prontezza è segno dell’amore:aprire subito al signore che bussa è segno del desiderio con il quale lo si attende. Qual è il livello della mia prontezza nei confronti della parola che Dio mi rivolge?