66) Lc 13, 10-17 – 10/11/21)
- Il testo
10[Una volta] Stava insegnando in una delle sinagoghe di sabato. 11Ed ecco [c’era] una donna che aveva uno spirito di infermità da diciotto anni ed era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. 12Avendo[la] Gesù vista, la chiamò e le disse: «donna, sei libera dalla tua infermità», e le impose le mani. E immediatamente si raddrizzò e glorificava Dio.
14Rispondendo il capo della sinagoga, irritato poiché Gesù aveva curato di sabato, disse alla folla: «Sei giorni ci sono nei quali bisogna lavorare. In quelli dunque venite a curarvi e non nel giorno di sabato». 15Gli rispose il Signore e disse: «Ipocriti, ciascuno di voi di sabato non scioglie forse il suo bue o l’asino dalla mangiatoia e lo conduce ad abbeverarsi? 16[E] Questa figlia di Abramo, che satana ha legato diciotto anni, non doveva essere sciolta da questa sua prigionia nel giorno di sabato?». 17E mentre diceva queste cose si vergognavano tutti i suoi avversari e tutta la folla gioiva per tutte le cose gloriose che accadevano da lui.
- Il messaggio
Si tratta di in un momento diverso rispetto al lungo discorso sul Regno sollecitato da una domanda impertinente ed inopportuna (quella dell’eredità); rispetto ad essa Gesù inizia a fare un excursus sul Regno di Dio fino ad arrivare al momento in cui afferma che è bene cogliere il tempo (il kairòs) nel quale Dio visita il Suo popolo, perché quello è il tempo per trarre profitto. Il rischio è di perdere questo tempo e la parabola del fico è in fondo una proroga (‘un altro anno e poi il fico sarà tagliato’).
10[Una volta] Stava insegnando in una delle sinagoghe di sabato. 11Ed ecco [c’era] una donna che aveva uno spirito di infermità da diciotto anni ed era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Con queste parole comincia una situazione diversa: Gesù sta insegnando in una delle sinagoghe. Insegnare in una sinagoga è una cosa abbastanza normale, quando Gesù entra a Cafarnao in Lc 4, 16-30, legge del rotolo del libro, lo chiude, lo dà all’inserviente e poi dice: «questa Scrittura si è realizzata». Qui fa la stessa cosa, legge e poi predica. Durante la predicazione ci viene raccontato che c’è una donna presente nella sinagoga che ha uno «spirito di infermità». Malattia ed infermità sono già comparse, questo è uno spirito di infermità che non afferisce solo ad una limitazione fisica ma ad una mancanza di forza (letteralmente ‘astenia’ in greco), di salute; esso impedisce a questa donna di stare dritta e la rende curva. Se abbiamo detto che questa non è una malattia puramente fisica allora l’essere curvo non è solamente l’espressione di un male biologico dell’organismo, è l’essere ripiegato su di sé. È curvo chi guarda sé e soltanto sé e questa donna è curvata dal male. Il dolore, la sofferenza possono incurvarci, cioè possono farci ripiegare su noi stessi, quando questo accade non guardiamo nient’altro che il nostro dolore e questa è una mancanza di libertà, perché la libertà non è essere sani per forza fisicamente ma è vivere in maniera libera in qualsiasi condizione noi siamo posti. Menziono volentieri qui lo psicologo di scuola freudiana Viktor Frankl, autore di Uno psicologo nei lager, che testimonia – pur vivendo in una condizione dove di fatto c’è una negazione della libertà e della dignità umana a livelli mai considerati prima nella storia – la sua possibilità di essere libero. La liberazione non è l’assenza della malattia o dei problemi, del dolore, ma è il vivere in maniera eretta, libera secondo le proprie scelte all’interno di qualsiasi situazione che la vita ci ponga davanti, altrimenti la nostra libertà sarebbe condizionata dalle situazioni che viviamo; la libertà è un connotato nostro personale e non afferisce a ciò che c’è fuori.
12Avendo[la] Gesù vista, la chiamò e le disse: «donna, sei libera dalla tua infermità», e le impose le mani. E immediatamente si raddrizzò e glorificava Dio. Quello che capita alla donna è uno spirito di infermità contraddistinto dall’incatenamento della volontà e della libertà ad una condizione che rende schiavi. Infatti non ci sfugge che nella predicazione che Gesù fa questa donna non reagisce ed è Egli stesso che deve guardarla, chiamarla, pronunciare sopra di lei delle parole di liberazione ed imporre le mani (se Gesù non fosse andato da lei questa donna non si sarebbe liberata). Tutto il brano ruota intorno al concetto di liberazione, la donna immediatamente (questo avverbio ci ricorda molto la reazione della suocera di Pietro che, guarita da Gesù, immediatamente si alza e serve) si alza e glorifica Dio. Questa donna non può drizzarsi in nessuno modo perché lo spirito di infermità la blocca nell’essenza della sua libertà, nella volontà (il testo greco dice letteralmente: «non poteva raddrizzarsi in posizione eretta»).
14Rispondendo il capo della sinagoga, irritato poiché Gesù aveva curato di sabato, disse alla folla: «Sei giorni ci sono nei quali bisogna lavorare. In quelli dunque venite a curarvi e non nel giorno di sabato». Gesù libera una persona ma arrivano le proteste da parte di un uomo che vuole impedire a Gesù questo, un uomo “urtato” più che irritato dall’azione di Gesù, che richiama il concetto di Legge.
15Gli rispose il Signore e disse: «Ipocriti, ciascuno di voi di sabato non scioglie forse il suo bue o l’asino dalla mangiatoia e lo conduce ad abbeverarsi? 16[E] Questa figlia di Abramo, che satana ha legato diciotto anni, non doveva essere sciolta da questa sua prigionia nel giorno di sabato?». 17E mentre diceva queste cose si vergognavano tutti i suoi avversari e tutta la folla gioiva per tutte le cose gloriose che accadevano da lui. Gesù gli risponde definendoli «ipocriti» (sarebbe letteralmente «doppi»), perché ciascuno di loro di sabato libera il proprio bue o l’asino per abbeverarsi, quindi li liberano per un’azione buona e altrettanto non viene concesso alla donna. Gesù non contesta loro che non possono sciogliere il bue o l’asino, questo si può fare perché è una buona azione che si compie nei confronti di un animale. Gesù mette in luce il fatto che costoro compiono una buona azione che di fatto non sarebbe permessa di sabato secondo un’erronea concezione. Constatiamo che secondo loro il bue si può sciogliere ma la donna no: ci chiediamo quale sia la discriminante, se la legge o il cuore. La risposta è il cuore, che è ciò che essi amano (amano il bue e lo sciolgono perché beva). La Legge dunque non va compresa in modo che nuoccia perché è sempre una Legge dell’amore, e Gesù evidenzia che si esterna maggior bene per il bue che per questa donna. Il problema non è la Legge ma è come l’uomo la comprende: la Legge intesa nel modo di questo capo della sinagoga è un modo per legare a sé e non ha come orizzonte il dare gloria a Dio ma a sé. Questo capita anche a noi.
La Legge deve liberare non schiavizzare altrimenti non viene da Dio. Il Vangelo ha norme. I dieci comandamenti ad esempio, la Legge Evangelica esiste, la percepiamo come oppressiva, affaticante o una cosa necessaria per costruire la relazione con Dio e col prossimo? La Legge è uno strumento che ci aiuta a crescere nelle relazioni, non può essere semplicemente un obbligo. San Paolo nelle lettere ai Galati e ai Romani afferma a più riprese che la Legge non ci giustifica e non ci rende giusti, serve a costruire le relazioni. Se noi la interpretiamo in modo umano, individualista, serve per schiavizzare gli altri. Lo shabbat è Legge di Dio, il sabato nasce come giorno da dedicare a Dio e non ha nessun senso proibire alle persone di fare delle cose. Gesù sottolinea il bisogno di recuperare lo spirito della Legge, che è l’amore. Nella sua replica afferma chiaramente che è più benvoluto il bue che la donna, questa è l’ipocrisia di chi tira in ballo la legge di Dio. La donna vive da diciotto anni una condizione radicatissima e a loro non importa, ma si tratta di una prigionia che solo Gesù è capace di liberare.
Mentre Gesù dice queste cose tutti i suoi avversari si vergognano. La vergogna interviene quando riconosciamo che una cosa è sbagliata, è un po’ come Adamo ed Eva che si nascondono per un atto commesso. Gesù coglie nel cuore di queste persone: vergogna ed irritazione sono due sentimenti che non per forza sono sbagliati, sono di fatto un po’ particolari, non sono del tutto negativi perché se la vergogna ci conduce ad un cambio di pensiero non è poi così sbagliata. I due sentimenti sono opposti: l’irritazione considera l’altro sbagliato (Gesù secondo loro ha sbagliato perché ha guarito di sabato), la vergogna invece ci fa capire le nostre azioni sbagliate. Di fronte all’azione di Gesù noi abbiamo sempre la possibilità di leggere in questo modo e talvolta abbiamo anche bisogno di capire, se ci capita di irritarci, qual è il nostro problema. È possibile che il Vangelo urti la nostra sensibilità, domandiamoci allora se è sbagliato il Vangelo o la nostra sensibilità.
- Alcune domande per riflettere
- Il male ha il potere di farci ripiegare su noi stessi, togliendoci la libertà di vivere in pienezza. Riconosco quale male mi fa “curvare”? Riconosco che Gesù ha il potere di liberarmi dal mio male? Cosa faccio per chiedergli al liberazione?
- La legge può essere strumento di liberazione o di schiavitù a seconda del fatto che è al servizio di Dio o dell’io. In che modo vivo il rapporto con la legge che Gesù ha dato? Riescono i precetti evangelici a liberarmi?
- L’irritazione e la vergogna sono due sentimenti che possono sorgere in me dal contatto con la parola di Gesù. Riesco a trarne frutto? Riesco a vedere in essi la denuncia delle mie ferite? Oppure diventano motivo di “accusa” verso Gesù?