- Lc 14,1-6 – 01/12/21
- Il testo
1E avvenne nell’andare egli in casa di uno dei capi dei Farisei di sabato per mangiare pane [che] essi stavano a controllarlo. 2Ed ecco un uomo idropico era davanti a lui. 3E rispondendo Gesù disse verso i dottori della legge e farisei dicendo: «è lecito di sabato curare o no?». 4Quelli tacquero. E preso[lo], lo guarì e lo liberò. 5E disse verso di loro: «[Se] il figlio o il bue di uno di voi cade in un pozzo, [chi] non subito lo tira fuori in giorno di sabato?». 6E non avevano la forza di contraddirlo su queste cose.
- Il messaggio
1E avvenne nell’andare egli in casa di uno dei capi dei Farisei di sabato per mangiare pane [che] essi stavano a controllarlo. Gesù va a mangiare nella casa del capo dei Farisei. Andare a mangiare a casa di qualcuno vuol dire essere in comunione, ed è uno dei modi che Gesù ha spesso utilizzato per entrare in contatto con le persone e per parlare del Regno.
La comunicazione delle cose di Dio che Gesù porta agli altri è infatti tanto più profonda quanto più l’ambiente è accogliente. Nel Vangelo di Luca, in particolare, una delle condizioni – anche per la predicazione dei discepoli – per predicare il Regno è essere accolti nelle case/città.
In questa particolare situazione, però, mancano le caratteristiche della comunione, in quanto costoro sono in un atteggiamento di controllo nei confronti di Gesù e pertanto non può esserci comunione perchè di fatto Gesù non è accolto ma è sospettosamente controllato. E in effetti Gesù non parla del Regno. Come agisce Dio in una situazione in cui desidera essere in intimità ma ci sono degli ostacoli all’intimità?
2Ed ecco un uomo idropico era davanti a lui. Davanti a Gesù c’è un idropico il quale non fa niente, non chiede nulla. La stessa presenza di una persona è percepita da Gesù come una richiesta. La persona è ammalata e Gesù si sente in dovere di intervenire anche se non gli è stato chiesto nulla. Ciò significa che la presenza stessa di una persona è una richiesta, la presenza dell’altro è qualcosa che ci interpella, se l’altro è presente e noi non ci sentiamo interpellati il rapporto non è autentico perchè fingiamo, siamo indifferenti. Gesù invece non è indifferente alle sofferenze altrui.
3E rispondendo Gesù disse verso i dottori della legge e farisei dicendo: «è lecito di sabato curare o no?» Gesù va dritto al centro del problema. La domanda che Egli pone è la medesima del cap. 13, vv. 10-17, dove a protestare, sostenendo l’assoluta sacralità del sabato, è il capo della sinagoga, che è di un rango inferiore rispetto ai capi dei Farisei e ai dottori della Legge. Intuiamo che intorno a Gesù si è venuta a creare una situazione di sospetto perchè Gesù guarisce di sabato, non una volta sola ma tutte le volte che è necessario.
4Quelli tacquero. E preso[lo], lo guarì e lo liberò. Di fronte alla domanda che Gesù rivolge ai presenti questi tacciono. Perché tacere di fronte ad una situazione che è una domanda/dissenso?Questo atteggiamento potrebbe significare che questi non sono più interessati che Gesù parli loro, ma desiderano piuttosto vedere come Gesù si muove nei confronti del sabato, se rispetta o meno la Legge come sostengono loro.
Di fronte al loro silenzio Gesù non si scompone, non si sente affatto vincolato dai loro sguardi che lo tirano nella loro dimensione, perchè in fondo essi non vogliono che Gesù guarisca l’uomo; al contrario, Egli lo prende, lo guarisce e lo libera. Il verbo liberare è ancora una volta associato alla guarigione perchè la guarigione comporta una liberazione della persona.
5E disse verso di loro: «[Se] il figlio o il bue di uno di voi cade in un pozzo, [chi] non subito lo tira fuori in giorno di sabato?». La frase è quasi speculare al v. 15 del cap. 13. Qui c’è una duplice aggiunta: la presenza di un figlio, prima del bue, e una situazione di emergenza (la caduta in un pozzo), con la conseguente necessità di aiutarlo, liberarlo subito.
6E non avevano la forza di contraddirlo su queste cose. Gesù ha rincarato la dose e, di fronte a queste parole, i presenti non hanno la forza di contraddirlo, tacciono, ancora una volta, ma questo tipo di silenzio è diverso da quello del v.4 e che indica il sospetto. In questo caso si tratta di un silenzio non voluto, un silenzio di impotenza perchè in fondo essi scoprono che Gesù ha ragione.
Cosa veicola questo episodio della vita di Gesù? Di sottofondo c’è sempre la questione della Legge e che è già stata affrontata. Emerge la constatazione che quello che è nostro lo trattiamo con maggiore riguardo rispetto a quello che è degli altri: il “nostro” bue di sabato può essere sciolto per andare a dissetarsi, la donna curva di sabato non può essere liberata da un’infermità che l’affligge da diciotto anni; “nostro” figlio caduto nel pozzo è da salvare anche di sabato, ma un uomo idropico non va salvato di sabato. Emerge, dichiaratamente, la disparità di trattamento che non ha niente a che fare con la Legge e che diventa espressione della propria volontà, non del desiderio di servire Dio.
Gesù mette in luce, attraverso un esempio, la contraddizione di questo modo di intendere la Legge. Comprendiamo anche che i comandamenti che afferiscono a Dio non minacciano ai fratelli, non possono essere utilizzati come strumento di coercizione o svantaggio nei confronti dei fratelli.
3. Alcune domande per riflettere
- Gesù si trova a casa di una persona ma in una condizione di mancanza di comunione e con franchezza pone il problema che esiste tra lui e i suoi interlocutori. Ho il coraggio di questa franchezza anche io? Riesco a dire il problema che mi separa dall’altro? Riesco a vivere il desiderio di comunione anche in condizioni di mancanza di comunione?
- La presenza dell’altro di per se stessa ci interpella. Come percepisco la presenza delle altre persone intorno a me? Cosa penso mi chieda? Quanto sono disponibile ad accettare la presenza dell’altro e a stare con lui?
- Il silenzio può essere espressione di molte cose: si tace perché si vuole condannare. Si tace perché si teme di non aver ragione. Si tace per una paura nei confronti dell’altro. Che forme ha il mio silenzio?
- Le realtà a me vicine sono sempre più amate di quelle più distanti da me. Quanto la vicinanza mi spinge ad avere un metro di giustizia diverso nel rapporto col prossimo?