• Lc 14,15-24 – 12/01/2022
  1. Il testo

15Avendo udito uno dei commensali queste cose gli disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio». 16Quegli rispose a lui: «Un uomo faceva una grande cena, e chiamò molti, e mandò il suo servo a ora di cena a dire ai chiamati: “venite, poiché è pronto”. 18E cominciarono da uno tutti a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e ho necessità di andare a vederlo. Ti prego di considerarmi scusato”. 19E un altro disse: “Ho comprato cinque gioghi di buoi e mi reco a provarli. Ti prego di considerarmi scusato”. 20E un altro disse: “Ho preso moglie e per questo non posso venire”. 21E tornato il servo annunciò al suo signore queste cose. Allora il padrone di casa, adirato, disse al suo servo: “Va’ subito per le piazze e strade della città e i poveri e storpi e ciechi e zoppi conduci qui”. 22E disse il servo: “Signore, è accaduto quanto hai comandato, e c’è ancora posto”. 23Disse il Signore al servo: “Va’ verso per le strade e le siepi e costringili a entrare affinché sia riempita la mia casa. 24Vi dico infatti che nessuno di quegli uomini che sono stati chiamati gusterà la mia cena”».

  • Il messaggio

15Avendo udito uno dei commensali queste cose gli disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio». Non è il primo brano che ha come centro della discussione e dell’immagine che Gesù utilizza il banchetto.E’ ormai chiaro che il banchetto è una delle immagini più note e connotanti nella tradizione di Israele e serve per descrivere la Comunione tra Dio e il suo popolo. Non sorprende che Gesù lo utilizzerà per istituire il Sacramento più importante, che celebra la sua presenza: l’ Eucaristia.Il brano si apre con l’esclamazione di un commensale che sa perfettamente ciò che sta dicendo.Gesù ha appena finito di spiegare la parabola degli invitati e invitanti, ha appena spiegato come comportarsi nell’una e nell’altra situazione, e lo fa evidentemente perché si trova precisamente in quel tipo di contesto.

Il riferimento alla cena è perché quello è il momento di conclusione della giornata e fine del lavoro, il pranzo è invece un momento più fugace perché poi si torna a lavoro. La cena è il momento dell’intimità, in cui ci si ferma, si chiacchiera, si sta insieme, ci si racconta…è il momento più propizio per la Comunione.

Ciò che dice il commensale richiama l’immagine della Comunione con Dio e la beatitudine, che è il massimo della felicità che un uomo può vivere. L’esclamazione vuole sottolineare che è beato chi riuscirà a vivere questa comunione con Dio.

 16Quegli rispose a lui: «Un uomo faceva una grande cena, e chiamò molti, e mandò il suo servo a ora di cena a dire ai chiamati: “venite, poiché è pronto”. Gesù risponde all’esclamazione con una parabola. Il tempo del verbo  «faceva»  è l’imperfetto, che indica un’azione cominciata nel passato ma ancora presente a chi parla, cioè un’azione che si prolunga. Gesù sta dicendo che la cena è già cominciata, c’è già, è in atto e non è soltanto una cena ma«una grande cena»,quindi un evento importante. Nel mentre il padrone «chiamò molti»: questo atto indica il momento nel quale sta accadendo qualcosa, l’ora è adesso, il momento presente. Nel momento in cui Gesù sta parlando ci sono tutti gli elementi che servono per partecipare alla cena: la cena; l’invito; la tavola pronta; le pietanze,  manca il «sì», l’adesione.

18E cominciarono da uno tutti a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e ho necessità di andare a vederlo. Ti prego di considerarmi scusato”. 19E un altro disse: “Ho comprato cinque gioghi di buoi e mi reco a provarli. Ti prego di considerarmi scusato”. 20E un altro disse: “Ho preso moglie e per questo non posso venire”. Tuttavia, tutti cominciano a scusarsi, il verbo ricorre tre volte nel brano. Non c’è tra i chiamati/invitati nessuno che risponde «sì». Nella scusante di queste persone, c’è una sequenza a crescere di situazioni in cui sono umanamente coinvolti, progressivamente più impegnative e importanti rispetto alla cena. Tutte le scusanti (il terzo non si scusa nemmeno) vengono utilizzate per rinunciare al banchetto del Regno (riecheggiano le parole di Luca 12, 31: «Piuttosto cercate il Regno e queste cose vi saranno aggiunte»).

Gesù sta spiegando al commensale che in realtà questa beatitudine di cui lui parla non è una beatitudine accolta, ovvero l’espressione che anela alla beatitudine divina non è autentica perché una volta invitato/i, sono tanti i motivi per non andare alla cena. Significa che non si vuole andare, si preferisce una occupazione alla cena stessa, perché si preferiscono altri eventi alla beatitudine del Regno. Significa che per il commensale, e per noi, quella beatitudine è solo nominale e quindi non crediamo che sia davvero la nostra felicità;  altrimenti niente ci impedirebbe di andare al banchetto.

Inoltre, il terzo invitato dice che dato che ha preso moglie non può andare al banchetto del Signore. Si tratta di un paradosso poiché lo stesso matrimonio è il banchetto in cui c’è anche il Signore, al tempo di Gesù è impensabile un matrimonio senza Dio. Dal punto di vista umano il matrimonio è il massimo impegno, ma dal punto di vista della relazione con Dio l’evento del matrimonio è soprattutto l’evento della massima condivisione con Dio poiché esso è, nella sua nuzialità, qualcosa che si fa con il Signore.

Affiora dunque una mentalità che non cerca Dio e arriva addirittura a  negarne la presenza dove è assolutamente necessaria, essenziale per la celebrazione di un matrimonio. Questa situazione costituisce una perdita di senso della vita, per cui si fanno delle cose ma si è smarrito il senso.

Il Signore invita l’uomo ad avere una comunione con lui e l’uomo risponde di avere di meglio da fare, laddove il meglio sono azioni che di fatto negano la presenza di Dio.

Tutto ciò ha a che fare con il desiderio, perché se il banchetto è pronto, se adesso è il tempo di incontrare Dio, se non lo incontriamo è perché non abbiamo voluto incontrarlo, facendo in modo che altre occupazioni diventassero priorità.

21E tornato il servo annunciò al suo signore queste cose. Allora il padrone di casa, adirato, disse al suo servo: “Va’ subito per le piazze e strade della città e i poveri e storpi e ciechi e zoppi conduci qui”. Nessuno va al banchetto. La reazione del Signore è di ira, è una presa d’atto da parte di Dio che l’uomo decide di vivere senza la comunione con Lui. L’ira potrebbe essere frutto del dispiacere, dello sdegno di Dio, l’ultimo modo, quello estremo, con il quale Dio prova a svegliare l’uomo indifferente. Anche l’ira di Dio mira alla salvezza dell’uomo in quanto Dio non ha bisogno di adirarsi, arrabbiarsi, per punire l’uomo.

Dopo ciò chiede inviti: poveri, storpi, ciechi, zoppi (già presenti nel v. 13). Il termine povero nell’etimologia greca indica colui che si rannicchia, si china per lo spavento, colui che non ha alcuna protezione e dipende totalmente dal dono di chi passa: l’elemosina. Si tratta, quindi, di mendicanti e impuri e perciò emarginati perché non possono lavorare.

Dio chiama proprio i poveri e gli emarginati che rispondono «si» perché non hanno niente da difendere e diventano coloro che hanno una maggiore comunione con Dio, proprio perché non hanno niente (ricordiamo la prima beatitudine, quella dei «poveri in spirito»).

Quando una persona risponde «sì» e vive in comunione con Gesù, succede che Gesù è particolarmente presente in questa persona. L’opzione della Chiesa per i poveri è quella particolare attenzione che la Chiesa mostra ai poveri e ai sofferenti perché in essi c’è Cristo, perché loro sono i più pronti ad accogliere la comunione con Dio, quindi diventano il luogo dove Dio è presente (Cfr. Mt 25: «tutte le volte che avrete fatto qualcosa per i miei fratelli più piccoli l’avrete fatto a me») .

Il mistero di Dio si capovolge: coloro che hanno occupazioni terrene sono distolti dall’amicizia con Dio. Il mistero della presenza di Cristo negli ultimi ha a che fare con questo, perché Dio offre la sua amicizia, mette in comunione, e gli ultimi, che non possono dare niente, prendono tutto quello che Dio gli dà.

22E disse il servo: “Signore, è accaduto quanto hai comandato, e c’è ancora posto”. 23Disse il Signore al servo: “Va’ verso per le strade e le siepi e costringili a entrare affinché sia riempita la mia casa. C’è ancora spazio. Il termine «molti», che non si oppone a “tutti” ma a “pochi”, indica la moltitudine. Nel sacrificio eucaristico, la formula in greco recita proprio «[….] offerto in sacrificio per voi e per molti».

Strade e siepi sono luoghi esterni alle città e quindi il Signore sta invitando non solo i cittadini di quella città, ma anche gli stranieri. Il desiderio di comunione di Dio è talmente forte che chiede al servo di costringere gli altri ad entrareperché la casa deve essere riempita. Dio non vuole che alla cena restino posti vuoti, vuole che la cena sia in pienezza. Tale completamento ha a che fare con coloro che erano stati invitati e non potranno più entrare.

 24Vi dico infatti che nessuno di quegli uomini che sono stati chiamati gusterà la mia cena”». Costoro hanno rifiutato la comunione. Possiamo chiederciperché Dio chiama prima alcuni e poi altri:sul tema riflette l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani in cui parla di Israele (chiamato) che non riconosce il Cristo, il cui rifiuto diventa motivo di benedizione per le genti. Il rifiuto del popolo eletto nei confronti di Cristo diventa funzionale alla salvezza sia del popolo eletto – destinato a tornare in comunione col Cristo – che di tutte le Nazioni. Questo è il progetto di Dio che si realizza.

Il tema centrale di tutto il brano è il desiderio. Non sempre i nostri desideri sono esattamente il desiderio di Dio e questo procura fatica nell’uomo. Una fatica che dobbiamo accettare. La fatica si ha perché i nostri desideri sono piccoli, Dio allarga il desiderio e lo fa diventare desiderio di comunione con lui e con tutti. Analizzando i nostri desideri possiamo capire dove essi ci portano: a quali persone sono rivolti; quante persone sono incluse; quante persone sono escluse dal nostro orizzonte; quanto sono presenti poveri ed emarginati.

Dio vuole allargare il nostro desiderio, ma si fa fatica, e questa fatica è necessaria altrimenti non accetteremmo il desiderio di comunione con Dio che è di comunione con tutti. Non dobbiamo spaventarci se nella sequela di Gesù sperimentiamo la fatica del cuore perché essa è indispensabile per seguire Gesù che afferma «chi vuol venire dietro di me prenda la sua croce e mi segua». Il cuore va allargato rispetto ai nostri orizzonti che tendono ad essere stretti, cioè a nostra misura.

3.Le risonanze personali

vv. 15-24: In questo brano la mia riflessione si è concentrata sull’ev­oluzione “dal mangia­re pane” che troviamo all’inizio come be­atitudine del commen­sale alle parole di Gesù di “gustare la mia cena”.
Mi è sembrato che essere chiamati abbia come risvolto l’ave­re una relazione più intima che va oltre il condividere un banchetto, un’intimi­tà che si raggiunge unicamente risponden­do sì. Rinunciando alle proprie occupaz­ioni non solo si par­tecipa, ma si gusta la cena di Gesù. Un altro aspetto che mi colpisce è che nel rifiuto non c’è una grande consapevolez­za, ma si ritiene si debba essere consid­erati scusati perché occupati in affari quotidiani . Ma se non siamo in grado di fare posto nel quot­idiano al Signore po­tremo mai avere una relazione intima? Perché pensiamo che le nostre occupazioni sono più importanti di questa relazione?

Mi sono interrogata sulla difficoltà a dare un giusto ordine alle priorità e ri­conosco la difficolt­à​ che compio nello stabilire o ristabi­lire le priorità e mi auguro che tale co­nsapevolezza sia il passo che mi mette in guardia per vivere una vita in comunio­ne con Lui e con i fratelli .

Tuttavia, in questo momento di iperconn­essione e pochi rapp­orti umani si fa fat­ica a riconoscere il Divino nel quotidia­no. Se da un lato l’­isolamento ci spinge​ ad una spirituali­tà intima dall’altro ci toglie la possib­ilità di dare il pro­prio contributo in una crescita.

                vv. 15-24: Ricollegandomi al brano precedente penso che il tema centrale del brano di oggi sia rappresentato dalla frase: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio». Gesù. per farcelo comprendere, utilizza il racconto dell’uomo che fa una grande festa. L’uomo rappresentato, colui che invita alla cena e quindi, come dicevamo la scorsa volta alla comunione con se e con gli invitati (che possiamo vedere come i fratelli), è un uomo che chiama molti e non tutti; questo fa riflettere. fa riflettere l’importanza di questa chiamata: non è per tutti e quindi non è scontata. L’uomo chiama a ora di cena e non a pranzo: significa qualcosa? A che fare con la fine della giornata e quindi della vita? Dopo l’invito incominciano a scusarsi uno ad uno; e io ho notato tre risposte diverse all’invito. Le ho messe in sequenza: vedere, provare, prendere. Tre verbi che indicano il possesso. Che indicano, secondo me, le distrazioni che gli invitati alla comunione con il Signore hanno. La gente chiamata è gente che possiede chi una cosa chi l’altra. E’ distratta da cose da fare, legittime ma non essenziali. Al ritorno del servo il padrone di casa, sentite le risposte degli invitati, si adira. Invita i poveri, gli storpi i ciechi; cioè coloro che non possiedono nulla, che non sono distratti da altro. Mi domando: c’è ancora tanto posto alla sua mensa che ne costringe altri? Il verbo costringere non si comprende. Mi sembra di capire che il padrone di casa, piuttosto che lasciare il posto ai chiamati che magari si pentono e si presentano all’ultimo momento, preferisca riempire la casa affinché loro non ne possano gustare la cena. Dopo tutto questo, mi sono fermato e ho rivisto la chiamata alla comunione con lui che ho ricevuto e mi sono chiesto: 1. Quante volte sono stato invitato ad essere in comunione con lui e ho rinunciato perché ho messo al primo posto, o comunque prima di questo, le mie faccende? 2. Sono consapevole che un rifiuto alla sua chiamata, nella piena libertà, può portarmi a non “mangiare il pane nel Regno di Dio”?

  • Alcune domande per riflettere
  • L’esclamazione del convitato riconosce il banchetto di Dio come beatitudine, massima felicità raggiungibile. Considero veramente tale la comunione con Dio? È una realtà per me concreta o immaginaria?
  • Tutte le situazioni della vita possono essere condivise con Dio nella gioia. In che modo faccio partecipe – metto in comunione – la mia vita col Signore? Sono disposto ad accogliere la Sua condivisione?
  • Se Gesù fosse qui presente, riuscirei a fermare tutte le attività e a mettermi a tavola con Lui? Lo considererei un privilegio, occasione imperdibile da non lasciar correre in alcun modo? In che modo penso che adesso Egli mi stia invitando al banchetto con Lui?