73) Lc 15, 1-10 – 26/01/22
- Il testo
1Si stavano avvicinando a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2E mormoravano i Farisei e gli scribi dicendo: “Costui accoglie peccatori e mangia insieme a loro. 3Disse verso di loro questa parabola dicendo: 4«Quale uomo di voi che ha cento pecore, ed essendosi smarrita una da loro, non lascia le novantanove nel deserto e va verso la smarrita? 5E trovata[la] [la] pone sulle spalle gioendo. 6E venuto a casa chiama gli amici e i vicini dicendo loro: “Gioite con me, poiché ho trovato la mia pecora che era smarrita”. 7Dico a voi che così [tanta] gioia ci sarà nel cielo c’è per un peccatore convertito che [non] per novantanove giusti che non hanno necessità di conversione. 8 O quale donna che ha una dracma se smarrisce una dracma, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca accuratamente fino a quando non la trova. 9E trovatala chiama gli amici e parenti dicendo: “Gioite con me, poiché ho trovato la dracma che era smarrita”. 10Così, dico a voi, avviene gioia davanti agli angeli di Dio per un peccatore che si converte».
- Il messaggio
Gesù ha terminato di parlare lungamente del Regno e del fatto che esso comporti la necessità di assumersi la responsabilità di una fatica, di una croce.
1Si stavano avvicinando a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. Nonostante questi discorsi molto duri accade una cosa particolare: a Gesù si avvicinano tutti i peccatori pubblici, cioè coloro che sono pubblicamente esclusi dalla vita di preghiera perché disinteressati. A queste persone l’idea di Dio che viene promulgata non dice niente, Gesù invece risveglia il desiderio di Dio anche in costoro, anche in quelli che hanno impostato la loro vita in una maniera totalmente diversa.
2E mormoravano i Farisei e gli scribi dicendo: “Costui accoglie peccatori e mangia insieme a loro. Gesù fa due cose impensabili per Israele a quei tempi: li accoglie e mangia con loro. Allora infatti si viveva in comunione solo con coloro che accettavano una vita religiosa, quindi chi non era in comunione con Dio era escluso. Gesù inverte questo principio perché accetta l’incontro prima della loro conversione. Questo non significa che Gesù avalli il peccato; significa piuttosto che è l’incontro con Dio che fa cambiare vita e non il dovere per il dovere, la legge per la legge. Non succede che prima ci convertiamo e poi incontriamo Dio, nell’atto stesso di conversione c’è già un incontro. A Gesù non vanno solo i peccatori e i pubblicani ma anche gli scribi ed i farisei. Tutti vanno a Gesù ma tra di loro gli uomini decidono di separarsi laddove Gesù accetta di stare con tutti. Le divisioni nascono da giudizi reciproci e dall’assolutizzazione della dimensione della Legge. Gesù non accetta questa suddivisione degli uomini sulla base di quello che sta accadendo. Per spiegare la prospettiva di Dio rispetto alla divisione che si sta verificando, Egli racconta tre parabole. Nel brano odierno sono esposte le prime due.
3Disse verso di loro questa parabola dicendo: 4«Quale uomo di voi che ha cento pecore, ed essendosi smarrita una da loro, non lascia le novantanove nel deserto e va verso la smarrita? 5E trovata[la] [la] pone sulle spalle gioendo. 6E venuto a casa chiama gli amici e i vicini dicendo loro: “Gioite con me, poiché ho trovato la mia pecora che era smarrita”. 7Dico a voi che così [tanta] gioia ci sarà nel cielo c’è per un peccatore convertito che [non] per novantanove giusti che non hanno necessità di conversione. La prima parabola potrebbe essere presentata con un termine tecnico: il “dilemma delle cento pecore”. Da un punto di vista economico tenere le novantanove pecore al sicuro e perdere la centesima costituisce l’1% di fattore di rischio da mettere in conto. Lasciandone novantanove per recuperarne una il rischio è che ne rimangano settantanove, o cinquanta, nessuno garantisce che le altre poi rimarranno lì e non si perderanno. Eppure quest’uomo decide di andare a recuperare la pecora smarrita e quando la trova se la carica sulle spalle ed è contento, felice (è utilizzato lo stesso verbo, chairein, che l’angelo rivolge a Maria: «sii contenta Maria, piena di grazia, perché il Signore è con te»). La sua gioia è talmente grande che sente il bisogno di chiamare tutti gli amici per festeggiare insieme, sembra quasi un’allusione al banchetto del Regno. Il discorso di Gesù è iperbolico perché probabilmente nessuno di noi avrebbe agito in quel modo. Egli sta dicendo che va sempre in cerca del peccatore, lasciando i giusti dove sono. La gioia che ci sarà in cielo è più grande di quanta ce ne possa essere per le novantanove pecore che rimangono al loro posto, perché la presenza di una pecora che non c’era più è il vero valore aggiunto. Possiamo chiederci: ma ci saranno davvero le novantanove pecore, i novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione? La parabola non lo lascia intendere, quella che leggeremo nel brano successivo sì. La comparazione usata da Gesù in questa parabola serve a far comprendere che l’azione compiuta nei confronti del peccatore produce una gioia che è molto più grande dello stare con quelli che se ne stanno tranquilli e sereni.
8 O quale donna che ha una dracma se smarrisce una dracma, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca accuratamente fino a quando non la trova. 9E trovatala chiama gli amici e parenti dicendo: “Gioite con me, poiché ho trovato la dracma che era smarrita”. 10Così, dico a voi, avviene gioia davanti agli angeli di Dio per un peccatore che si converte». La seconda parabola è in continuità con la prima ma è ancora più paradossale. Questa volta si tratta di una donna che possiede dieci dracme e ne smarrisce una (il rapporto è di uno a dieci), qui non c’è più una comparazione perché la dracma è una moneta dal valore esiguo e tuttavia una volta smarrita è fatta oggetto di accurate ricerche in casa. Il valore di una dracma è molto inferiore a quello di una pecora ma soprattutto è inferiore al tempo che quella donna impiega accuratamente in casa per spostare, fare pulizia e trovarla. Ma chi trascorrerebbe una giornata di lavoro per un centesimo? Il discorso che sta facendo Gesù ruota intorno al fatto che c’è una sproporzione tra la grande gioia ed il valore dell’oggetto (anche qui la donna sente il bisogno di condividere la gioia provata) ma anche una sproporzione di valutazione dello stesso. Quella dracma per la maggior parte delle persone non vale quel lavoro, per Gesù e Dio, invece, quella dracma vale più di una dracma. Gesù fa quindi comprendere ancora di più che Egli considera il valore della conversione di un peccatore più di quanto l’uomo consideri importante l’altro uomo. È un discorso nei confronti di coloro che mormorano e Gesù dice che preferisce andare a prendersi la pecora, il peccatore piuttosto che lasciare tutti i giusti dove sono perché in cielo c’è più gioia in questo ed il valore che dà a quel peccatore non è lo stesso che gli dà l’uomo.
Nella profondità di quello che Gesù sta dicendo c’è una differenza enorme di valutazione della relazione e del recupero che Gesù desidera delle relazioni che si sono ormai disgregate. Il peccatore è un uomo che interrompe la sua relazione con Dio, il peccato interrompe la comunione con Dio. Per Gesù il valore di quella comunione è altissimo ed il desiderio di recuperarla è per Lui primario. Siamo noi che dobbiamo chiederci: la conversione non è proprio un cambiamento di pensiero? E se per noi sono più importanti le novantanove pecore o le nove dracme non siamo ancora lontani dalla conversione? Questo Vangelo ci interpella nella sua logica e se noi non ci riconosciamo in queste parabole significa che il nostro modo di vedere non è quello di Gesù; se non lo è dobbiamo ancora convertirci, perché è evidente che valgono ancora più i nostri criteri che non quelli del Signore.
Tutto ruota intorno ad un paradosso: fino a quando ci sembrerà un paradosso, la Parola, come in uno specchio, ci sta dicendo ancora che non siamo discepoli di Gesù o comunque non abbiamo un cuore convertito. Fino a quando non avvertiremo il bisogno di andare verso le persone che non conoscono il Signore ed in qualche modo portare nella loro vita la buona novella, non saremo allineati rispetto a quello Gesù dice e desidera.
Possiamo allora chiederci: c’è un tempo per la conversione? Se conversione significa allineare il proprio pensiero a quello di Gesù, allora essa non è mai un atto definitivo perché ci sarà sempre nella nostra vita la necessità di limare qualcosa ed il tempo della conversione è il tempo della nostra vita. Finché viviamo infatti, il Signore ci dà le possibilità per conformarci al Suo Vangelo. Dal momento che la conversione è un processo, non ha senso aspettare perché tutto il tempo che noi aspettiamo è un tempo in cui noi non camminiamo, tutto il tempo non utilizzato rimane tempo perso. Di fronte alla Parola di Gesù ci possiamo porre come coloro che ascoltano o coloro che mormorano, protestano[1]. Questo ci aiuta a capire in che posizione noi ci poniamo rispetto alla Parola. Un santo diceva nei suoi diari spirituali: «l’uomo non sa quanto Dio lo ami, se l’uomo sapesse quanto Dio lo cerca e lo ami non farebbe altro che corrispondere a Lui». Una delle principali difficoltà che l’uomo vive è di non percepire questo desiderio che Dio ha di avere comunione con lui quindi reagisce con indifferenza, non si sente cercato e conduce la sua vita lontano da Dio. Il Vangelo letto e ascoltato nello Spirito con la Parola che diventa viva nel nostro cuore ci trasmette tutto il desiderio di Dio di volerci venire a prenderci lì dove siamo. Dio desidera che noi ritorniamo a Lui e viene a bussare alla nostra porta, a cercare e decide addirittura di portarci sulle spalle, come fa con la croce, a costo della propria vita. Noi siamo la croce di Gesù, siamo la causa della Sua morte.
3.Alcune domande per riflettere
- Gesù «accoglie» e «mangia» con i peccatori. E lo fa prima che essi si convertano. Perché è l’incontro con Dio a provocare la conversione non il dovere della Legge. In che modo mi comporto con chi sbaglia? Mi allontano fino a che non si comporti bene? Provo a dargli una possibilità? Lo «accolgo»? «Mangio» con lui?
- Dio rischia per ciascuno di noi. Perché anche uno solo che si smarrisce è per Lui un grande dolore. Quanto sono disposto io a rischiare – a uscire dalle mie sicurezze – per andare incontro al fratello che si è smarrito? quanto sono disposto a cambiare i miei progetti di vita a partire dalle necessità vitali del fratello smarrito?
- Per Dio siamo importanti. Più di quanto noi consideriamo di esserlo, e più di quanto consideriamo gli altri importanti per noi. Che valore dò alla vita dell’altro? Alla sua sofferenza? Alla sua lontananza da Dio? Cosa faccio per andargli incontro?
[1] La mormorazione come termine nasce nell’esperienza del deserto, quando il popolo protesta perché non c’è acqua. È una protesta nei confronti di Dio, o anche di Mosé. Di fronte alla Parola alcuni ascoltano (coloro che sono attratti) altri invece contestano, protestano, mormorano (cfr. Esodo 16).