- Lc 15,11-32 – 02/02/2022
- Il testo
11Disse: «Un uomo aveva due figli. 12E disse il più giovane di loro al padre: ”Padre, dammi la parte della sostanza che mi spetta”. Quegli divise tra loro la proprietà. 13E dopo non molti giorni, raccolte tutte le cose, il figlio più giovane partì per una regione lontana e lì dilapidò la sua sostanza vivendo dissolutamente. 14Avendo speso tutte le sue cose, avvenne una forte fame per quella regione ed egli cominciò ad abbisognare. 15E recatosi si unì a uno dei cittadini di quella regione e [questi] lo mandò nei suoi campi a pascolare porci. 16E aspirava a saziarsi dalle ghiande che mangiano i porci, e nessuno glie [ne] dava. 17Allora entrato in se stesso disse: “Quanti salariati di mio padre abbondano di pane, mentre io qui sono perduto per la fame. 18Alzatomi, mi recherò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato verso il cielo e davanti a te, 19non più sono degno di esser chiamato tuo figlio. Fai di me come uno dei tuoi salariati”.
20E, alzatosi, venne verso suo padre. Essendo ancora egli molto lontano, il padre lo vide e fu commosso e correndo si gettò al suo collo e lo baciava. 21Gli disse il figlio: “Padre ho peccato verso il cielo e davanti a te, non sono degno di esser chiamato tuo figlio”. 22Disse il padre ai suoi schiavi: “Presto preparate il primo vestito e vestitelo, e dategli l’anello alla sua mano, e i sandali ai piedi, e portate il vitello grasso, uccidetelo e mangiando facciamo festa, 24poiché questo figlio mio era morto ed è risorto, era perduto ed è ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25Il figlio suo, il più anziano, era nel campo. E come, venuto, si avvicinò alla casa, udì le musiche e i cori, 26 e chiamato uno dei servi domandò cosa fosse questo. 27Quegli rispose a lui: “Tuo fratello è qui, e tuo padre ha ucciso il vitello grasso poiché lo ha ricevuto sano”. 28[Quegli] si adirò e non voleva entrare, allora il padre uscito lo pregava. 29Quello rispondendo disse a suo padre: “Ecco questi anni ti ho fatto da schiavo e mai un tuo comandamento ho scavalcato, e mai hai dato a me un capretto per far festa con i miei amici. 30Quando questo tuo figlio, che ha divorato la tua proprietà con prostitute è venuto, hai ucciso per lui il vitello grasso”. 31Quello gli rispose: “Figlio, tu sempre con me sei, e tutto ciò che è mio è tuo. 32Bisognava però far festa e gioire, poiché questo tuo fratello era morto e vive, e perdutosi anche è stato ritrovato”».
- Il messaggio
Il brano è lungo e complesso e comporta tanti spunti di riflessione. All’interno di questa grande ricchezza c’è una traccia che potrebbe essere identificata attraverso i diversi personaggi/ ruoli/identità menzionati:
- i cittadini
- i salariati
- gli schiavi
- i servi
- i figli.
Si tratta di cinque personaggi differenti e tre diverse figure che identificano condizioni di subalternità: schiavi, servi e salariati.
11Disse: «Un uomo aveva due figli. 12E disse il più giovane di loro al padre: ”Padre, dammi la parte della sostanza che mi spetta”. Quegli divise tra loro la proprietà. 13E dopo non molti giorni, raccolte tutte le cose, il figlio più giovane partì per una regione lontana e lì dilapidò la sua sostanza vivendo dissolutamente. Il brano si apre con la richiesta del figlio minore della sostanza che gli spetta. Costui vuole vivere, con la sostanza che gli spetta, in un paese lontano o un grande paese.Nel testo greco la parola che traduciamo in italiano con proprietà, si può tradurre anche con vita (bìos). Possiamo chiederci:Si può dividere la vita?Si può vivere lontano dal padre? Luca utilizza un’espressione volutamente ambigua e simbolica che serve a far capire che il figlio minore vuole vivere la sua vita lontano dal padre, in una grande città.Questo è il grande miraggio che lo porta lontano e gli fa perdere tutto ciò che appartiene alla sostanza paterna. Si può, quindi, dire che egli perda anche la filiazione dal suo cuore, cosa che invece non viene perduta dal cuore del padre.Viene dunque dissipata la relazione con il padre. Ma questo non è sufficiente perché il figlio non se ne accorge e continua a vivere lontano.
14Avendo speso tutte le sue cose, avvenne una forte fame per quella regione ed egli cominciò ad abbisognare. Per fargli aprire gli occhi accade che debba attraversare e affrontare una carestia, che è qualcosa che priva del necessario. Le necessità servono a svelare meglio le relazioni. Così come di solito usiamo dire che gli amici si vedono nel momento del bisogno.
15E recatosi si unì a uno dei cittadini di quella regione e [questi] lo mandò nei suoi campi a pascolare porci. 16E aspirava a saziarsi dalle ghiande che mangiano i porci, e nessuno glie [ne] dava. In tale momento di bisogno, quest’uomo cerca rifugio in un cittadino del posto (dal greco kollào, letteralmente “attaccarsi”). Ciò sottolinea il miraggio, di questo figlio giovane, nei confronti dei cittadini di questa grande città che lo attira. La situazione di fame gli fa aprire gli occhi. Oltre alla fame, il paese che ha tanto agognato non solo non lo riconosce come cittadino, poiché gli dà il ruolo di uno schiavo mandandolo a pascolare i porci, ma lo considera addirittura di un livello inferiore ai porci perché non gli consente di mangiare neanche il cibo che dà ai maiali.
17Allora entrato in se stesso disse: “Quanti salariati di mio padre abbondano di pane, mentre io qui sono perduto per la fame. 18Alzatomi, mi recherò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato verso il cielo e davanti a te, 19non più sono degno di esser chiamato tuo figlio. Fai di me come uno dei tuoi salariati”. Emerge chiaramente che non è solo un problema di fame, ma di relazione. Quest’uomo apre gli occhi sulla situazione e capisce che finanche i salariati in casa di suo padre hanno pane in abbondanza. Il modo più semplice in cui potremmo considerare questa affermazione è che egli vuole tornare a casa del padre per tornare a mangiare, anche se non più da figlio, perché riconosce di aver sbagliato. In realtà si tratta piuttosto di una situazione che afferisce alla dignità umana, di come vengono trattate le persone. Si rende conto, in una situazione di così estrema necessità, che il padre tratta meglio i suoi salariati rispetto alla condizione che lui sta vivendo nel paese tanto agognato. Il figlio apre gli occhi sulla qualità del padre: ha riconosciuto ciò che aveva sempre sotto gli occhi ma che prima non riconosceva, cioè quanto il padre sia buono, generoso e riconoscente di dignità verso gli altri. In questo modo si può capire la frase che pronuncia interiormente. Quello che il figlio vive è un vero e proprio pentimento sulla base di un tradimento nei confronti del padre. Nel suo cuore riconosce di aver perso la relazione filiale. Probabilmente la carestia gli fa capire che questa relazione filiale l’aveva già persa e lo rende consapevole su quello che è il suo vero rapporto con il padre. Pertanto ha bisogno di andare lontano, vivere l’esperienza di una relazione che non viene riconosciuta nella sua vita e quindi di ritornare al padre riconoscendogli il suo valore.
20E, alzatosi, venne verso suo padre. Essendo ancora egli molto lontano, il padre lo vide e fu commosso e correndo si gettò al suo collo e lo baciava. E così si incammina. L’atteggiamento del padre fa capire che non ha mai smesso di volgere lo sguardo al figlio a prescindere da quanto lontano egli fosse andato. Il corrergli incontro ricorda molto la pecora smarrita, il padre se lo va a prendere ma aspetta che sia il figlio a decidersi di muoversi, poiché l’uomo ha la sua libertà di scegliere.
21Gli disse il figlio: “Padre ho peccato verso il cielo e davanti a te, non sono degno di esser chiamato tuo figlio”. Il padre permette al figlio di comunicargli le sue scuse (l’accusa del peccato), ma non si interessa alle conseguenze che il figlio trae al padre, perché nel cuore del padre il figlio rimane figlio.
22Disse il padre ai suoi schiavi: “Presto preparate il primo vestito e vestitelo, e dategli l’anello alla sua mano, e i sandali ai piedi, e portate il vitello grasso, uccidetelo e mangiando facciamo festa, 24poiché questo figlio mio era morto ed è risorto, era perduto ed è ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il padre fa esattamente il contrario dei cittadini: gli ridona tutti i segni della sua figliolanza e decide di fare una festa uccidendo il vitello grasso. Il motivo della festa è la resurrezione del figlio che ha capito che non è possibile vivere lontano dal padre e torna alla vita, tornando dal padre. Il movimento è da morte a vita e caratterizza, a tutti gli effetti, una resurrezione. Tutto ciò afferisce principalmente ad un cammino interiore.
25Il figlio suo, il più anziano, era nel campo. E come, venuto, si avvicinò alla casa, udì le musiche e i cori, 26 e chiamato uno dei servi domandò cosa fosse questo.27Quegli rispose a lui: “Tuo fratello è qui, e tuo padre ha ucciso il vitello grasso poiché lo ha ricevuto sano”. Questo cammino incrocia il cammino del fratello maggiore. E’ importante capire che le vicende dei nostri fratelli e sorelle incidono profondamente sul nostro modo di vivere la vita. La presenza degli altri è importantissima e centrale, tanto è vero che la descrizione del figlio maggiore è di un grande lavoratore, fedele. La sua fedeltà, tuttavia, deve essere provata davanti al padre e la presenza del fratello svela il rapporto tra il figlio maggiore e il padre.
28[Quegli] si adirò e non voleva entrare, allora il padre uscito lo pregava. 29Quello rispondendo disse a suo padre: “Ecco questi anni ti ho fatto da schiavo e mai un tuo comandamento ho scavalcato, e mai hai dato a me un capretto per far festa con i miei amici. Il ritorno del fratello minore non solo non procura alcuna gioia nel fratello maggiore ma questi è addirittura arrabbiato perché il padre lo ha accolto con gioia, perciò protesta. Il rapporto di questo figlio maggiore con il padre si connota nei termini di una schiavitù, il che implica che tale rapporto è letteralmente soffocato dal senso della legge.
30Quando questo tuo figlio, che ha divorato la tua proprietà con prostitute è venuto, hai ucciso per lui il vitello grasso”. Il fratello maggiore nei confronti del fratello minore adopera un giudizio vero e proprio. All’inizio del brano, v. 13, è scritto che il figlio minore vive dissolutamente (il greco asòtos: letteralmente “senza speranza”). Il fratello maggiore, invece, dice qualcosa di preciso: menziona le prostitute. I In questo rapporto la figura del padre è oscurata dalla grande importanza che viene data alla legge.
31Quello gli rispose: “Figlio, tu sempre con me sei, e tutto ciò che è mio è tuo. 32Bisognava però far festa e gioire, poiché questo tuo fratello era morto e vive, e perdutosi anche è stato ritrovato”». Il padre rivela al figlio il suo modo di vivere e che avrebbe potuto disporre in ogni momento di quello che c’è. Lui non ha volutamente avuto accesso alla sostanza poiché ha messo davanti il filtro della legge, come se dicesse: sei mio padre solo se io rispetto la legge.
Compaiono dunque tre modi di vita relazionale:
- il figlio minore che pensa che la felicità sia lontana dal padre , prende tutto e se ne va. Costui non ha capito chi è il padre.
- Il figlio maggiore che pensa che la felicità sia rispettare i comandamenti del padre. Ma anche qui, se ci si ferma sui comandamenti la relazione non esiste.
- Il padre è l’unico che chiama i figli e riconosce a questi una dignità di relazione che dipende dal fatto che sono figli e, qualsiasi cosa facciano, rimangono figli.
3. Alcune domande per riflettere
- Il vangelo allude chiaramente all’impossibilità di trovare «vita» lontano da Dio. Mi è mai capitato di pensare che invece la presenza di Dio e quanto Egli mi dice sia piuttosto limitazione alla mia libertà/felicità? Riesco a riconoscere come tentazione questo pensiero?
- La «fame» è l’esperienza che può realmente aprirci gli occhi sulla realizzazione dei nostri desideri. Quanto mi ha saziato seguire i miei desideri? Quanto faccio memoria della insoddisfazione che deriva dai miei fallimenti?
- Una prospettiva che considera la persona di Dio solo nell’osservanza di leggi è schiavizzante. Quale volto ha per me Dio? Come definirei la mia relazione con Lui? Cosa «sento» che Lui vuole da me?